sabato 21 febbraio 2015

DUE MINUTI SCARSI

Me lo hanno chiesto tutti, e a tutti ho risposto: è durato meno di due minuti.
Il primo è stato il lettighiere, poi il dottore del pronto soccorso, poi la polizia, poi il prete e via via mamma, i parenti, gli amici, giornalisti ed estranei. 
A tutti ho risposto la stessa cosa: ‘e durato meno di due minuti’. Non sono un medico, uno psichiatra, un indovino o chissà cosa: sono una persona normale, vivo una vita normale e voglio tornare ad avere una vita normale; è il desiderio che hanno tutti dopo un evento violento: dimenticare tutto e tornare alla normalità. E’ quello che voglio fare: buttarmi tutto alle spalle e andare avanti con la mia vita, le mie passioni, i miei amici.
Mi hanno denigrato, insultato, esaltato, adorato; visto che la notizia è finita in tv e sui giornali ho pure visto gente che mi faceva la macchietta, partiti politici che mi spronavano alla candidatura per la riscossa della razza italiana, ho ricevuto perfino lettere di ammiratrici che volevano portarmi a letto. Ma io niente, non gli ho dato retta, non ho voluto né un soldo ne la fama, voglio tornare alla mia vita di sempre e per farlo me ne sono dovuto andare.
Che poi, in fondo, non è successo nulla di tanto strano: una storia come se ne sentono tante, una storia che per qualche strambo motivo è finita male lasciandomi ber un brevissimo lasso di tempo nell’occhio di bue della fama mediatica da me mai cercata né voluta.
Io mi sono semplicemente difeso. Una sera, tornando a casa dal lavoro mi sono ritrovato questo individuo davanti: inizia a parlare, ma io non capisco cosa dice perché sono in parte assordato dalla musica. Mi tolgo un auricolare e vedo che questo parla in maniera aggressiva, mi inizia a minacciare e infine tira fuori un coltello a serramanico e me lo punta. Io sono sempre stato uno tranquillo, non ho mai voluto problemi e non sono un cuor di leone: mi sono bloccato, paralizzato dalla paura. Ho visto il riflesso della luce del lampione sulle pozzanghere e sulla lama, il suo sguardo scuro e inespressivo, i vestiti logori e l’aspetto minuto e malandato. Mi imbeccava con questo coltello, e io sono indietreggiato fino a che ho potuto: mi sono ritrovato addosso a un muro, di quelli vecchi, di mattoni. Ricordo le dita che si aggrappavano alla terracotta porosa e consunta e l’odore dell’umidità che emanava. 
A un certo punto è scattato qualcosa.
Ed è successo qualcosa.
Ricordo solo una sensazione di ottundimento, il buio, del movimento, uno dei due auricolari che mi era rimasto saldo nell’orecchio e la musica che sfumava. Poi il nulla, l’ambulanza, la polizia, la questura. Eccesso di legittima difesa, hanno detto. Si, era armato, mi voleva rapinare, ma a ogni modo non dovevo ammazzarlo accanendomi in modo così bestiale sul corpo inerme. 
Me lo hanno detto come se lo avessi deciso, io invece non ricordo proprio nulla. Da quel momento sono sceso all’inferno: perizie psichiatriche, processo, giornalisti sotto casa, dibattiti politici, qualsiasi cosa possa disturbare la pace di una persona per bene. Perché io sono una persona normale e voglio stare tranquillo, non voglio e non ho mai voluto la fama.
Alla fine, dopo cinque anni e mezzo è finito l’inferno; mi sono finalmente sentito libero e appena ho potuto me ne sono andato via e ho ricominciato altrove, senza dire a nessuno chi ero e da dove venivo. Ogni tanto ripenso a quei momenti, ma senza trovare una risposta né per cosa è successo né per il come; malgrado mi sia sforzato più e più volte, le uniche cose che ricordo sono l’essermi ritrovato d’improvviso le mani coperte di sangue, il manico del coltello in mano e le luci blu di polizia e ambulanza che si riflettevano ovunque.
Ho perso due minuti della mia vita questo è quello che ho detto a tutti. 
Questo è quello che tutti volevo sapessero. 
Perché la verità, quella con cui mi sveglio ogni notte, quella che mi terrorizza, è che so benissimo che cosa è successo: ho ucciso una persona e ne ho profanato il cadavere, e la cosa mi ha eccitato fino a un passo dall'orgasmo. Non so se è corretto chiamarlo raptus, dopotutto in quel minuto e quarantuno secondi io mi sentivo estremamente lucido e sapevo benissimo cosa stavo facendo, come se lo facessi da sempre. 
Quel povero disperato mi ha minacciato nel momento sbagliato; mi dispiace per lui, ma se fosse arrivato un minuto e quarantuno secondi dopo adesso sarebbe ancora vivo.
...e poi dicono che la musica non alimenta gli stati d’animo.
'Ripping apart, Severing flesh, Gouging eyes, Tearing limb from limb'

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