‘veramente?’
‘certo signora, guardi che per una collezione simile diecimila euro sono un buon prezzo’.
Paola, la signora Dallari per la maggior parte della gente che la conosce, è stupita della cifra che il negoziante le sta offrendo. Ha passato la vita a guardare il marito che accumulava supporti fonografici di qualunque tipo senza mai capirne il perché: doppie edizioni, cd, dischi in vinile, cassette…a volte lo stesso disco in più formati. Non gli ha mai chiesto il perché, si è sempre limitata a osservare in modo distaccato senza capire, visto che a lei basta a malapena un pezzo alla radio o un cd con i migliori pezzi di un qualunque artista. Passati tre mesi dalla morte di Riccardo ha deciso di disfarsi della collezione di dischi del consorte: un po' non sa che farsene, un po’ perché ha sempre visto la passione del marito come una rivale in amore con la quale sarebbe sempre uscita sconfitta.
In questo momento sta mostrando la collezione di circa settemila pezzi al signor Romanelli, uno dei negozianti che ha contattato per portare via tutto: un tipo sulla quarantina con aspetto un po’ dimesso che porta degli occhiali da lettura con la montatura dorata palesemente demodé incastonati su un viso giovanile.
‘veramente signora è una collezione di nicchia, non so quanta gente potrebbe trovarla appetibile, ma la buona notizia è che qui ci sono cose di valore più che discreto e che venderà a buon prezzo facilmente.…prenda questo, per esempio’
Romanelli le sta mostrando un disco con copertina in bianco e nero con una scritta in caratteri gotici poco leggibile. La Dallari cerca di non tradire lo stupore, da direttore del personale sa benissimo cosa vuol dire lasciar tradire le emozioni, si limita ad annuire e a cercare di ricordare qualche nozione che il suo defunto marito le passava di tanto in tanto e che lei immagazzinava con scarso se non nullo interesse.
‘si, è una prima stampa’.
Romanelli lo prende delicatamente, rigira copertina, inserto, estrae il vinile, lo controlla, lo rimira e lo rimette via con cura nemmeno fosse un piatto di cristallo.
‘già. Solo questo varrà trecento euro…signora, io glielo dico…io posso arrivare a offrirgliene diecimila…certo poi devo guadagnarci pure io, lo può immaginare. Se invece vuole venderla a pezzi…beh, a quanto ho visto tra demo, singoli, rarità e promozionali può facilmente raddoppiare la cifra. Però immagina già da lei che ci vuole pazienza e non è detto che le vada via tutto subito….’
Paola ci sta pensando: non ha difficoltà economiche ma non ha nemmeno voglia di passare mesi a mettere annunci, impacchettare dischi, ricevere pagamenti e lamentele e fare code alla posta. Decide di temporeggiare.
‘guardi, senza offesa, ma immaginerà che sto sentendo altre persone, altre valutazioni…ho il suo numero, le faccio sapere’
Romanelli la guarda e annuisce senza lasciare trasparire emozione; ha già curato sgomberi di questo tipo, sa benissimo come trattare e come si può sentire la persona che rimane a voler disfarsi delle cose del consorte appena venuto a mancare.
Si salutano cordialmente, Paola chiude la porta e si reca in soggiorno, uno stanzone parquettato luminoso con una grande vetrata che da su un giardino interno, e si mette a sedere sulla sua poltrona, una replica di una poltrona modello Berger rivestita di damasco dorato. Dal tavolino a fianco prende un portafoto e osserva l’immagine: lei e suo marito, sorridenti, seduti a un tavolino di un bar. Su una terza sedia è appoggiata la sua borsa e un immancabile sacchetto pieno di dischi comprati dal marito. Ricorda benissimo dove fu scattata: erano alla fiera di Utrecht, una decina di anni fa. Riccardo era un fissato, probabilmente aveva una dipendenza, ma in fondo non era cattivo; non le aveva mai fatto mancare nulla, era un buon cristo, in fondo. Le viene da sorridere a pensare che dopotutto i dischi erano come un altro membro della famiglia: erano sempre presenti ovunque e finché c’era suo marito in casa non c’era mai silenzio.
Rimette la foto al suo posto e ascolta il silenzio per qualche minuto, poi si rialza, inquieta, e si dirige verso il muro del salone dove il marito teneva la collezione di dischi: è ancora tutta li, nessuno l'ha più toccata dalla sua morte. La osserva superficialmente, scorre con lo sguardo le coste di ogni formato, dai dischi in vinile ai dvd e alla fine decide di prendere un titolo a caso e provare ad ascoltarlo. Spulcia negli scaffali e sta per tirarne fuori uno quando si ricorda che c’era un disco che Riccardo considerava uno dei suoi pezzi più preziosi, anche se lei non ricorda di aver mai visto il marito ascoltare quel disco. Paola cerca di ricordarsi come si chiamava il gruppo o quantomeno l’iniziale ma non le sovviene nulla; poi, mentre sta ripassando in rassegna nuovamente tutta la collezione lo trova: giace placidamente assieme ad almeno altre quindici copie differenti o apparentemente uguali: perché? Ecco un’altra cosa che anche sforzandosi non ha mai compreso di suo marito: perché tante copie differenti? Ne basta una, dopotutto la musica è sempre quella. Estrae tre o quattro copie, quelle più a sinistra perché sa che suo marito le archiviava in ordine di pubblicazione, poi prende quello apparentemente più sgualcito, ovvero quello più a sinistra della sezione e se lo rigira in mano: consunto, un angolo piegato, la copertina raffigura un disegno indefinito di una chiesa stampato in viola su una copertina nera con un logo illeggibile. Sul retro la copertina è consumata e lascia il segno del circolo del vinile, quello che in inglese si chiama ‘ringwear’; ormai dopo anni che lo sentiva dire dal marito lo ha imparato anche lei. La copertina è di quelle apribili a libro e all’interno ci sono delle scritte viola e delle facce indefinite, come se avessero stampato sul cartone una fotocopia di una foto in bianco e nero. Prende il disco e si dirige verso lo stereo, un monumentale complesso derivato dagli anni ’70 di cui negli ultimi mesi ha usato praticamente solo la radio, estrae il disco con la stessa cura che usava il marito e lo mette sul piatto: cacofonia, puro rumore, almeno per lei. Rimane a torturarsi per quasi dieci minuti, poi spegne tutto, prende il disco e lo rimette via, al suo posto, in maniera meccanica.
Si salutano cordialmente, Paola chiude la porta e si reca in soggiorno, uno stanzone parquettato luminoso con una grande vetrata che da su un giardino interno, e si mette a sedere sulla sua poltrona, una replica di una poltrona modello Berger rivestita di damasco dorato. Dal tavolino a fianco prende un portafoto e osserva l’immagine: lei e suo marito, sorridenti, seduti a un tavolino di un bar. Su una terza sedia è appoggiata la sua borsa e un immancabile sacchetto pieno di dischi comprati dal marito. Ricorda benissimo dove fu scattata: erano alla fiera di Utrecht, una decina di anni fa. Riccardo era un fissato, probabilmente aveva una dipendenza, ma in fondo non era cattivo; non le aveva mai fatto mancare nulla, era un buon cristo, in fondo. Le viene da sorridere a pensare che dopotutto i dischi erano come un altro membro della famiglia: erano sempre presenti ovunque e finché c’era suo marito in casa non c’era mai silenzio.
Rimette la foto al suo posto e ascolta il silenzio per qualche minuto, poi si rialza, inquieta, e si dirige verso il muro del salone dove il marito teneva la collezione di dischi: è ancora tutta li, nessuno l'ha più toccata dalla sua morte. La osserva superficialmente, scorre con lo sguardo le coste di ogni formato, dai dischi in vinile ai dvd e alla fine decide di prendere un titolo a caso e provare ad ascoltarlo. Spulcia negli scaffali e sta per tirarne fuori uno quando si ricorda che c’era un disco che Riccardo considerava uno dei suoi pezzi più preziosi, anche se lei non ricorda di aver mai visto il marito ascoltare quel disco. Paola cerca di ricordarsi come si chiamava il gruppo o quantomeno l’iniziale ma non le sovviene nulla; poi, mentre sta ripassando in rassegna nuovamente tutta la collezione lo trova: giace placidamente assieme ad almeno altre quindici copie differenti o apparentemente uguali: perché? Ecco un’altra cosa che anche sforzandosi non ha mai compreso di suo marito: perché tante copie differenti? Ne basta una, dopotutto la musica è sempre quella. Estrae tre o quattro copie, quelle più a sinistra perché sa che suo marito le archiviava in ordine di pubblicazione, poi prende quello apparentemente più sgualcito, ovvero quello più a sinistra della sezione e se lo rigira in mano: consunto, un angolo piegato, la copertina raffigura un disegno indefinito di una chiesa stampato in viola su una copertina nera con un logo illeggibile. Sul retro la copertina è consumata e lascia il segno del circolo del vinile, quello che in inglese si chiama ‘ringwear’; ormai dopo anni che lo sentiva dire dal marito lo ha imparato anche lei. La copertina è di quelle apribili a libro e all’interno ci sono delle scritte viola e delle facce indefinite, come se avessero stampato sul cartone una fotocopia di una foto in bianco e nero. Prende il disco e si dirige verso lo stereo, un monumentale complesso derivato dagli anni ’70 di cui negli ultimi mesi ha usato praticamente solo la radio, estrae il disco con la stessa cura che usava il marito e lo mette sul piatto: cacofonia, puro rumore, almeno per lei. Rimane a torturarsi per quasi dieci minuti, poi spegne tutto, prende il disco e lo rimette via, al suo posto, in maniera meccanica.
La sera, dopo cena, Paola si rimette in poltrona e decide di lasciar perdere la televisione per sistemare gli arnesi della sua cucina. Visto che le piace cucinare ogni tanto passa in rassegna gli arnesi e o li sostituisce o ne compra qualcuno nuovo che le può servire per preparare piatti particolari; dopo averli estratti tutti li sistema ordinatamente sul piano di lavoro e dopo aver pulito i cassetti e le rastrelliere decide di affilare i coltelli passandoli sulla pietra non prima di aver buttato un’occhiata agli attrezzi perfettamente ordinati che attendono di essere rimessi al loro posto.
In quel momento le viene il magone e le sta scendendo una lacrima perché finalmente capisce: capisce perché il marito prendeva quindici copie dello stesso disco, perché prendeva lo stesso titolo in formati diversi, perché passava ore a riordinare tutto o catalogare con un software apposta, perché spendesse tempo a guardare copie, difetti, foto, quotazioni: era un rituale, così come per lei lo è ordinare i cassetti della cucina: è un rituale che rilassa.
Lascia tutto in cucina, torna in soggiorno, si siede sulla sua poltrona e si sente tremendamente in colpa: per anni ha paragonato la collezione a un’amante, quando invece non era ne più ne meno che l’equivalente di una pallina antistress.
In quel momento le viene il magone e le sta scendendo una lacrima perché finalmente capisce: capisce perché il marito prendeva quindici copie dello stesso disco, perché prendeva lo stesso titolo in formati diversi, perché passava ore a riordinare tutto o catalogare con un software apposta, perché spendesse tempo a guardare copie, difetti, foto, quotazioni: era un rituale, così come per lei lo è ordinare i cassetti della cucina: è un rituale che rilassa.
Lascia tutto in cucina, torna in soggiorno, si siede sulla sua poltrona e si sente tremendamente in colpa: per anni ha paragonato la collezione a un’amante, quando invece non era ne più ne meno che l’equivalente di una pallina antistress.
Dopo qualche minuto si ricompone, ritorna in cucina a mettere via tutto e torna nuovamente a sedersi. Riprende in mano la cornice e riguarda la foto: non è più così sicura di volersi disfare della collezione di dischi del marito.
Almeno, non così in fretta.
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