Non ricordo quanto tempo fa fosse, so solo che quella sera fu speciale nella sua normalità.
Uscii con l'aspettativa che avevo sempre prima di una serata del genere ovvero nessuna, dopotutto era una serata con gli amici: i soliti amici, nella solita birreria che raggiungevo a piedi in dieci minuti.
Sarei arrivato mi sarei seduto e avrei aspettato gli altri, avrei bevuto quelle quattro o cinque pinte e, sobrio o alticcio, me ne sarei andato in discoteca o ritornato a casa, avrei deciso al momento.Quella sera non fece quasi eccezione: partii da casa e mi piantai sulla solita via che percorrevo per raggiungere il locale, una linea retta di oltre un chilometro tra case e ospedali completamente desolata. La strada si rianimava poco più avanti, quando sfociava in una piazza, ma allora io avevo già girato a destra in una traversa altrettanto desolata ed ero già praticamente davanti al locale. Entrai, mi piazzai nel tavolo in fondo e ordinai la mia prima pinta. Ero il primo, come al solito. Dopo qualche sorso mi arrotolai una sigaretta, rigorosamente senza filtro, e uscii sulla porta a fumarmela; era l'epoca in cui il tabacco lo fumavano in pochi e io venivo guardato con stupore mentre tutti fumavano Camel o Marlboro mentre io mi ero speso qualche mese a cercare la marca di tabacco e cartine giuste per i miei gusti. Feci in tempo a finire la sigaretta e ad arrivare a metà pinta che ancora non arrivava nessuno, guardai l’orologio ma era a malapena l’ora del puntello e nessuno mai arrivava puntuale per cui decisi di rientrare e ripiazzarmi sul tavolo, giocherellai con la busta del tabacco, col cellulare, con il bicchiere della pinta e ascoltai anche un paio di brani dal lettore cd portatile, credo fossero Le Orme. In quel periodo avevo la fissa per la roba anni ’70 e mi vestivo anche alla stessa maniera, camicia di jeans o roba pescata dai negozi dell’usato e jeans scampanati ma comunque conservavo, e conservo tutt’ora, un’inspiegabile attrazione per le cose tristi o malinconiche, è un po’ come se la malinconia, il grigio, le cose che comunque finiscono male o ti lasciano un vuoto mi facessero sentire a casa. Finii la prima pinta, dopo qualche minuto arrivò la cameriera che conoscevo, una ragazzona di circa un metro e ottanta davvero carina, a ritirarmi il bicchiere. Mi chiese se ne volevo un’altra, ma le risposi che aspettavo gli altri, non volevo finire ubriaco per le undici di sera solo come un cane.
Dopo una decina di minuti il locale iniziò ad affollarsi con vari avventori e gente della mia compagnia; ogni tanto ne spuntavano uno o due, single, donne, coppie, coppie omo, un po’ di tutto. Era una compagnia eterogenea spalmata su città e regioni, e quella era una di quelle serate dove saremmo stati tanti e, dopo il pub saremmo andato in discoteca. Se mi piaceva la musica da discoteca? Ma col cazzo, non mi è mai piaciuta l’idea, il locale, i cocktail, quello che mettono. Semplicemente era un periodo della mia vita in cui andava così, e mi andava benissimo così: avevo chiuso due storie più o meno importanti da un po’ e avevo bisogno di cambiare aria, in più benché sia sempre stato un solitario ogni tanto non avevo voglia ne di pensare ne di stare solo. Con i primi cinque compari del gruppo ordinai la seconda pinta e mi rollai la terza sigaretta: non ero un fumatore incallito, ma nel week end ci davo sempre dentro, in più la cosa che adoravo era il rituale pre fumo: prendere la cartina, spianarla per bene, mettere il tabacco, arrotolarla, accenderla e stare in piedi fuori dal locale con la pinta in mano e la sigaretta tra le dita. Intanto che ero fuori a dare spettacolo e a sparare cazzate la gente continuava ad arrivare; a un certo punto credo fossimo due terzi del locale fosse pieno di gente della mia compagnia, in mano avevo o la pinta in o la pinta e la sigaretta e mi dividevo con vari gruppetti, seguendo questo o quel discorso, partecipando, blaterando…insomma, le cose che si fanno normalmente in compagnia, senza distinzione di politica, sesso, età.
A un certo punto finii la birra, mi recai come al solito al bancone per rendere il bicchiere vuoto e prendere quello pieno quando la vidi: era impossibile non notarla perché le capitai proprio a fianco mentre reclamavo la mia bevanda; avevo sempre pensato fosse carina, ma quella sera aveva qualcosa che la faceva spiccare. Presi la mia birra e non ricordo come attaccammo bottone; ci eravamo salutati prima, in modo informale come si faceva con tutti, e poi ci eravamo dispersi, ora invece eravamo uno di fronte all'altra, in un locale affollato: io che sembravo appena uscito da Woodstock e lei, bionda, con gli occhi scuri che mi si parava davanti in tutta la sua apparente fragilità avvolta da un vestito nero a che ne incorniciava e contrastava il pallore della pelle. Parlammo per una decina di minuti del nulla, poi ci perdemmo di vista e, a fine serata, ognuno a casa sua, perché per una volta non volli andare in discoteca mentre lei ai aggregò al gruppo dei nottambuli. Insomma, non successe nulla, eppure in quel momento io sentii qualcosa: avrei dovuto dirle qualcosa, invitarla fuori dal locale a fare due passi, stare da soli, qualsiasi cosa. Non lo feci, forse per timidezza forse perché sapevo aveva una storia con qualcuno e non volevo essere disonesto.
Non capitò più un momento del genere con lei. Con il passare del tempo successe che ognuno si fece le sue storie, ognuno si fece la sua vita e lentamente e impercettibilmente i nostri sentieri si divisero, eppure quei cinque minuti di intimità con quella ragazza, io e lei, isolati nel mezzo di in un locale affollato, sono la più bella serata della mia vita. Me lo sono chiesto tante volte, eppure tra tanti è il ricordo a cui sono più legato.
Mi chiedo perché quel ricordo mi viene in mente adesso, a 78 anni, mentre mi stanno staccando il respiratore per lasciarmi finalmente morire. Ma sono contento sia l’ultimo ricordo della mia vita.
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