Una sera d’autunno, una di quelle serate di ottobre animata da un lieve vento, quelle brezze rare in città che ti lasciano qualche brivido più per il fatto di essere presenti che per l’effettivo contributo al calo della temperatura, tant’è che è ancora abbastanza caldo da girare in camicia; una strada dritta, di periferia, con le foglie secche degli alberi che iniziano a formare un tappeto soffice che copre le irregolarità dell’asfalto del marciapiedi e le rare auto parcheggiate vicino ai muri di fabbriche e magazzini mentre i lampioni alti e rarefatti proiettano una luce malata che dipinge tutto inesorabilmente di una tonalità giallo ittero. Non sente nemmeno l’eco dei passi perché ha gli auricolari che gli stanno trapanando le meningi con la musica a livello proibitivo, è diretto verso il solito pub poco lontano da dove abita, dove se ne va praticamente ogni sera. E’ un abitudinario, fatto salvo per il mercoledì, giorno in cui il pub è chiuso. Esce alla stessa ora, fa la stessa strada, arriva e si siede al medesimo sgabello, rimane al pub con i soliti amici per il tempo di tre medie e cinque sigarette e poi torna a casa. Sempre così, sempre uguale, tranne per un periodo passato un po’ di tempo fa; era scomparso da questa sua abitudinarietà a causa di una storia che lo aveva assorbito, anzi, una serie di storie concatenate tra loro che lo avevano portato a confrontarsi con un mondo diverso, distante da cui poi si era staccato per tornare al consueto.
Tornare alla sua vita dopo quella esperienza lo ha reso tutto sommato contento ma fino a un certo punto, perché sa che c’è un mondo fuori, e i gesti misurati e uguali di ogni giorno iniziano a stargli stretti. Sa che stasera si divertirà anche se in maniera un po’ forzata, ma non importa, per oggi va bene: tre medie, cinque sigarette, saluti a tutti e si torna a casa, domani i pensieri di lavoro e la solita routine fino a sera alle 21:00, ora in cui il rituale di passeggiata, pub e ritorno si ripeterà, poi dopodomani chissà. Per il momento si ripete il rituale dei saluti: posare il bicchiere vuoto, infilarsi la giacca militare, rollarsi la sigaretta e accendersela fuori dal pub. Alza lo sguardo al cielo e si gode le stelle e la volta limpida grazie alla brezza, saluta tutti sommariamente e si dirige verso casa non senza aver acceso il riproduttore musicale a volume altissimo, come sempre.
Si sente strano perché lo odiava, ma nell’ultimo anno ha scoperto che Hendrix gli piace tantissimo. Si rende conto che come la gente che conosceva in fondo è cambiato anche lui, perché si, si cambia sempre, ogni giorno, ogni momento. Gli piaceva definirsi ‘una costante in un mutevole universo’, invece è mutevole pure lui e ha scoperto che la cosa non gli da troppo fastidio; ha lasciato un certo passato alle spalle e almeno per il momento non lo vuole riaffrontare perché c’è un futuro davanti e un presente adesso. Ci farà i conti col passato, succederà, ma non per il momento.
Inizia a canticchiare sulle note di ‘Hey Joe’ e se ne frega tanto non lo vede nessuno, li ci sono solo magazzini e capannoni vuoti. La strada è deserta e la malinconia del pezzo sembra la colonna sonora ideale di una strada così; mentre cammina pensa ai fatti suoi, a volte canta ma soprattutto pensa al letto e a un paio di conoscenze che ha fatto poco tempo fa e che vorrebbe approfondire. Non si sente depresso, almeno per una vota: è felice, forse per la prima volta in vita sua è totalmente felice anche se solo per un momento.
D’improvviso sente un dolore pungente alla schiena e uno strano gusto in bocca: Sangue. Sente qualcosa che si appoggia e non capisce se è un aiuto o una spinta a terra, ma comunque non riesce a fare altro che accasciarsi e cadere. Si sente debole, poi finalmente si sdraia a terra con l’odore delle foglie umide che gli entra nel naso e contrastano il sapore metallico del sangue in bocca.
È fermo, non ha forze. Gli è caduto un auricolare e riesce a sentire dall’ orecchio libero il silenzio intorno a lui e dei passi ormai lontani.
Era felice, ha capito che sta morendo e si chiede in un attimo perché adesso. Non riesce a darsi una risposta logica, l’unica che gli sembra sensata è che non poteva andargli bene e doveva immaginarselo. Sente mancare il fiato, sente il sangue seccarsi, l’odore delle foglie, il torpore che arriva e le forze che gli mancano; l’ultima cosa che riesce a sentire prima di perdere definitivamente conoscenza sono le note di ‘castles made of sand’ che lo accompagnano consegnandolo all’oblio.
‘And so castles made of sand slips into the sea, eventually’
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