venerdì 10 luglio 2015

IL BIANCO E IL NERO

‘ti è piaciuto?’
Non posso crederci di averlo detto. Ho più di trent’anni e so che una cosa simile non devi mai dirla a una donna dopo aver scopato, specie se non la conosci bene. ma tant’è, il danno è fatto. Accenno una risata nervosa e mi giro verso di lei.
Ha lo sguardo rivolto al soffitto e mi ha appena inquadrato con la coda dell’occhio per poi tornare a fissare il soffitto.
‘domandona’
Vado in panico. non mi sono mai definito un grande amatore, ma non mi sembra che stasera sia proprio da buttare. Cerco di evitare di fare due volte lo stesso errore e me ne sto zitto cercare di farle dimenticare la mia domanda idiota.
Lei però la domanda la ricorda benissimo si gira verso di me, mi mostra ancora una volta il suo ben di dio e mi guarda sorniona.
‘in trentasette anni è la prima volta che me la fanno. Non pensavo ci fossero VERAMENTE maschi che domandano certe cose’
Touché. Se voleva farmi sentire un completo imbecille ci è riuscita in pieno.
‘no…è che…mi è scappato’.
‘se ti è scappato lo pensavi comunque.’
‘Beh, credo tutti i maschi lo pensino. Pochi lo chiedono. Ciò non toglie che sia una domanda idiota.’
Mi mette un dito sulla bocca come indicare il silenzio.
‘si. Così almeno ti dai pace. Ci sai fare, ti difendi bene. e ora rilassati che non ho voglia di stare qui con uno in ansia che si aspetta il voto.’
Si rimette sdraiata sulla schiena e ridacchia.
‘voi uomini siete così presuntuosi e così insicuri al tempo stesso’
‘già. Perdonami ma…’
‘cosa’
‘sarò molto schietto: vuoi le coccole o me ne vado a casa? Sai, sono anni che sono fuori dal mercato, non so mai come comportarmi’
Si gira e con i suoi occhi color nocciola mi fissa incredula per un attimo, poi scoppia a ridere. 
Io mi sento un completo idiota fino a che non smette. 
‘ah, se non ti conoscessi…’
Mi giro e la fisso.
‘ma tu NON mi conosci’.
Ride, ma proprio di gusto. Una risata di quelle che ti mette di buon umore, di quelle che ti fa stare bene. mi sento un po’ pirla, ma in fondo va bene così: ho passato una bella serata, il finale è stato piacevole e tutt’altro che scontato, direi che può bastare.
Mi avvicino e l’abbraccio, poi mi stacco e mi alzo dopo non so quanto tempo siamo rimasti avvinghiati.
‘ci vediamo domani?’
Non so perché gliel’ho chiesto, forse la mia psicologa direbbe insicurezza e chissà cos’altro.
Non mi risponde, si limita a fissarmi e io faccio lo stesso. Mi sento in imbarazzo, poi mi rivesto. Mi chino nuovamente su di lei, la abbraccio e decido per andarmene a casa. 
Esco dal palazzo e mi becco l’afa notturna a darmi il benvenuto. Mi guardo in giro e non c’è anima viva. Potrei chiamare un taxi ma sono troppo eccitato e non ho sonno, pertanto decido di farmi un pezzo a piedi e camminare finché non mi stanco, poi si vedrà.
Dopo un’ora abbondante rientro in casa e mi butto a letto vestito. Verso le sette la suona sveglia inclemente per dirmi che devo andare a lavorare: salto giù dal letto ancora eccitato, mi cambio la polo che ho addosso e mi fiondo in ufficio senza smettere di pensare alla sera precedente. Passo la giornata senza praticamente lavorare in attesa delle sei e del poterla chiamare e rimango tutto il giorno sul pc cercando notizie su di lei. La conosco poco, ma a questo punto voglio sapere tutto, gusti, difetti, intolleranze, fede politica…tutto. 
Appena uscito dall’ufficio la chiamo: telefono spento. 
Inizio a innervosirmi, aspetto cinque minuti e poi richiamo: spento. 
Certo, che speravo, lo accendesse in un minuto?
Le mando un messaggio, la cosa più sicura da fare per essere sicuri che riceva qualcosa di mio. Un messaggio sornione, disimpegnato, che però prevede una replica anche solo di un’emoticon. 
Metto via il telefono e vado verso casa; mi fermo a fare spesa, riassetto, faccio partire un bucato e cerco di non pensarla. 
Passano un paio d’ore e fisso il telefono: nulla. Mi ero fatto un film su un’altra cena assieme con serata e magari fine serata, invece rimango al palo. Finisco di cenare e vado al solito pub, trovo un paio di amici e rimango con loro per la serata, parlando del più e del meno ma non senza pensare alla serata del giorno prima. Torno a casa e mi preparo a un’altra giornata in ufficio con la speranza di risentirla. 
Il silenzio radio continua per una settimana fino a che una sera, uscendo dalla palestra, la vedo passare dall’altra parte della strada. È lei, ne sono sicuro, ha cambiato pettinatura, ha i capelli corti mori adesso ma dieci giorni fa erano biondi e lunghi. Ha uno stile un pelo differente ma è lei. La seguo e quando le sono a tiro la prendo per una spalla.
Si gira, mi fissa. 
‘che cazzo vuoi’.
‘ma…non…io e te…una settimana fa. dovevamo rivederci. Siamo usciti a cena, la serata al pub…’
‘guarda bello che hai preso un granchio. Io non ti ho mai visto’.
Mi sto per incazzare. Perché va bene tutto, ma qui stiamo rasentando le scuse infantili.
‘no, senti, abbiamo cenato dalle parti del parco Solari, e ti ho accompagnato a casa…abiti in una traversa di Via Dezza, in una casa piccola ma piena di oggetti di design. Abbiamo…finito li la serata, poi dovevamo vederci il giorno dopo, ma non ti sei più fatta sentire. Voglio dire, potevi dirmi subito di no anziché salutarmi con un bacio e poi sparire.’
Mi fissa e d’improvviso diventa cupa.
‘ah…ma…tu…’ si sposta e si appoggia a un muro, sembra le manchino le forze.
Mi chiedo che succeda, ma non faccio a tempo a finire la domanda nella mia testa. 
‘Io sono Irene. Vieni con me.’
La seguo meccanicamente e ci infiliamo dentro un bar poco lontano dove mi spiega che lei è la sorella di Debora, la ragazza con cui sono uscito. Debora ha avuto un incidente e dopo tre giorni di terapia intensiva non ce l’ha fatta ed è morta. Non è triste perché conoscendo la sorella se lo aspettava, era una spericolata, che prendeva rischi ogni minuto…ma era fatta così e le voleva bene.
Rimango istupidito, perché mi aspettavo la scusa più fantasiosa ma non questo. 
‘sul serio non so cosa dire…non saprei come…’
‘non dire nulla, non potevi saperlo’ guarda le ore. ‘senti sono quasi le otto. Ti va di mangiare una cosa?’
Ci penso un attimo.
‘perché no?’


Dopo qualche ora Irene è da me. Abbiamo cenato non lontano da casa mia e stiamo finendo la serata da me parlando di tutto e di più. E’ una persona diversissima da Debora, ma non per questo meno stimolante. Mano a mano che ci addentriamo in discorsi personali però non riesco a non chiedermi che sarebbe successo se Debora non fosse morta improvvisamente. 
Abbasso per un attimo lo sguardo nel bicchiere semivuoto che ho in mano e Irene mi riprende
‘la vita è questa, prendere o lasciare.’
‘cosa?’
‘tu hai perso un’occasione, io una sorella.’
La guardo stupito.
‘si, si vede che ci pensi. A me piace pensare che ci sia un motivo per tutto, in fondo. Prendila così: doveva andare in questa maniera. Era scritto che dovessimo incontrarci, anche se in modo inconsueto.’
La guardo e guardo il suo sorriso un po’ malinconico ma non meno solare di quello di sua sorella.
‘è che è tutto strano’.
‘lo so. Non è facile nemmeno per me…ma occorre guardare avanti. E comunque vedi il buono: anche da una disgrazia può venire fuori qualcosa di magnifico, no?’ 
Mi ammicca e in quel momento non posso non crederci. Si, dopo il temporale torna sempre fuori il sole.

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