martedì 7 giugno 2016

LE DICIASSETTE E TRENTA

Guido è sul tram, diretto verso casa, che si lascia cullare dal dondolio della vecchia carrozza a carrelli. Non sta pensando a nulla se non ad arrivare a casa, cenare e rimanere in poltrona a guardare la televisione con la sua compagna.
Eppure.
Eppure ha in testa qualcosa, una convinzione. È successo qualcosa, oggi, ma non ricorda cosa. Possibile? Sarà l’età, i troppi pensieri, lo stress…fatto sta che ha la convinzione di essersi perso un pezzo di qualcosa e non ricorda cosa. 
Prova a ricapitolare: la spesa l’ha fatta, le medicine le ha prese, ha fissato il carrozziere e l’idraulico e domani sera esce a cena con Gloria. 
E allora cos’è?
Nulla, non gli viene in mente nulla.
Cerca di distrarsi guardando la città che brulica di gente che inizia a tornare a casa e il traffico che inizia a farsi sempre più intenso. Passa per la sua zona, una di quelle che hanno ancora i negozi che resistono a grande distribuzione e ipermercati, scende alla solita fermata e si infila dentro al panettiere per prendere due cose per la sera per poi tornare a casa.
La sensazione di aver perso un pezzo o scordato qualcosa è ancora forte, ma più ci pensa più non gli viene in mente niente anche cercando di non pensarci. 
Si corruccia e mentre fa le scale per arrivare in casa decide di parlarne con Gloria, in modo da riuscire a farsi aiutare, magari ricordare e togliersi il tarlo una volta per tutte.
Entra in casa e non fa a tempo a spogliarsi che gli torna in mente tutto con una sola domanda postagli da Gloria: ‘tutto a posto? Com’è andata in ufficio?’
E’ successo tutto in ufficio la mattina stessa, e adesso che Guido ricorda ride fragorosamente, abbraccia la compagna e la bacia.
Allo sguardo interrogativo di Gloria, Guido risponde laconicamente: 
‘non preoccuparti, adesso mentre ceniamo ti racconto tutto’.

Qualche ora prima.
‘Guido, puoi venire nel mio ufficio?’
Il capo solitamente convoca qualcuno in ufficio per rimproverarlo, ma Guido non ne vede il motivo; non ha fatto grossi errori ed è sempre puntuale nelle mansioni svolte.
Dopo i soliti convenevoli e salamelecchi sul quanto l’azienda sia contenta di lui e si aspetti sempre un impegno di un certo livello, il capo si lascia andare al vero motivo della convocazione.
‘Vedi, hai una certa età per cui capisci certi meccanismi…mi meraviglio di te, Guido’
‘in che senso, scusa?’
‘beh…fai sempre dallo otto e mezza alle cinque e mezza, spacchi il minuto, nemmeno una volta cinque minuti di più. Se ti fermassi ogni tanto…che so…quei dieci minuti, faresti vedere che ci tieni all’azienda e verresti maggiormente ricompensato…non ti pare? Dopotutto, sono solo cinque minuti, non mi dire che devi sempre correre a casa’.
Guido, irreprensibile, resta ad ascoltare tutto il discorso fatto dal capo quasi senza mostrare emozioni, poi, quando il capo gli chiede se non ha nulla da dire, risponde pacatamente.
‘vedi, io non mi fermo perché ho un tumore al cervello terminale e onestamente l’ultima cosa che ho voglia di fare nel tempo che mi rimane è passare il mio tempo con gente che non ha altri passatempi che non siano lo stare in ufficio o fare carriera. Nel tempo che mi rimane, che beninteso non so quanto sia, preferisco di gran lunga guardare una vecchia al semaforo o fare la coda in farmacia sapendo di tornare cinque minuti prima per stare con la mia compagna piuttosto che stare qui con gente che spesso sembra più condannata a morte di me.’
Il capo rimane istupidito a bocca aperta, Guido si alza e pacatamente esce e torna a lavorare per uscire alle diciassette e trenta precise.

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