Se qualche anno fa mi avessero detto che a un certo punto della mia vita mi sarei ritrovato a letto con un uomo gli avrei dato del matto. No, non me ne frega un cazzo delle disparità o del pubblico pudore. Semplicemente a me piace la cara vecchia fregna, tutto qui. Uno può essere finocchio, lesbica, transessuale, bisessuale, amante dei cavalli, delle pinze sui capezzoli, qualsiasi cosa. La cosa non mi riguarda, io vado d’accordo con tutti a patto che non mi tirino in mezzo alle loro cose. Insomma, se sei frocio usciamo assieme, andiamo al cinema, a cena, al pub assieme ma non mettermi la mano sul pacco.
Eppure sono qui, adesso, mano nella mano con un maschio.
È una sensazione strana. Mi sento strano, un po’ imbarazzato ma sto bene. Lui non parla, sta riposando, ha il respiro pesante e io sono tranquillo. Sono con lui, e voglio stare con lui.
Mi rendo conto che è mattina perché la luce inizia a filtrare dalla tapparella abbassata. È già mattina. Come vola il tempo.
Adesso mi dovrò vestire, lavare in qualche modo e andare a lavorare. Non sono a casa mia e mi dovrò arrangiare, però chi se ne frega, stasera torno e resto di nuovo qui con lui. Se ci penso mi sento imbarazzato e un po’ malinconico ma inizio a fregarmene; tra qualche anno non mi sentirò più così e forse penserò a questo momento in modo differente.
Mi alzo e mi vesto in qualche modo, al buio, in silenzio. Prima di uscire lo guardo nuovamente: è li che dorme, in pace. Non voglio svegliarlo, mi avvicino, gli prendo la mano, gliela stringo dolcemente e gli do un bacio sulla guancia.
Gli sussurro tre parole all’orecchio e lo lascio dormire. Esco dalla stanza e socchiudo la porta, così non sentirà alcun rumore.
Mi dirigo verso gli ascensori ma prima mi fermo alla reception.
‘Buongiorno, sono Morlotti. Mio padre è ricoverato nella stanza 312. Questo è il mio biglietto da visita. La prego, mi contatti immediatamente se ci dovessero essere cambiamenti’.
Gli allungo una banconota da dieci euro, ringrazio ed esco.
La luce del sole che sorge mi abbaglia, avrò una giornata pesante al lavoro e stasera di nuovo qui, senza tregua da ormai un mese. Ma non importa, lo farei altri mille mesi, ma purtroppo non li ho; il medico è stato perentorio, due settimane al massimo, poi non avrò più un padre.
Mi incammino verso la metropolitana cercando di non pensare più a nulla anche se continuano a tornarmi in mente quelle tre parole appena sussurrate e che gli ho detto pochissime volte: ‘ti voglio bene’.
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