lunedì 19 dicembre 2016

IPOCRISIE DI NATALE

Due birre, vino a volontà, cena, amaro e anche per quest’anno ci siamo tolti dal cazzo la cena di natale. Finti sorrisi, giacche e cravatte, foto, brindisi e io nell’angolo che bevevo come una spugna per rendere sopportabile la visione di inutili manichini ubriachi, cadaveri ben vestiti, maiali con le autoreggenti e orsi polari agghindati come alberi di natale.
Uff, mi pesa pure mettermi il cappotto e mi tira la giacca da quanto mi sento gonfio.
Minchia che freddo, appena uscito dal ristorante la sferzata classica che ti taglia la faccia ti sveglia di botto. E ora devo capire come cazzo tornare a casa. 
Ah, già, il tram. Vado dritto per Viale Bligny, giro in Ripamonti e lì all’angolo mi prendo il tram. In sei o sette fermate arrivo a casa e o mi butto a letto o prima vomito per una bella congestione causata dal freddo.
Cazzo però, quando sono uscito dall’ufficio era fosco, ora non si vede proprio un cazzo. Mi guardo le mani e sono intirizzite dal freddo, mi stringo nelle spalle, mi alzo il bavero del cappotto e mi addentro nella coltre di nulla che mi aspetta in direzione del tram. 
Adoro la mia città, adoro persino la nebbia e il freddo che ti intirizzisce le ossa. Dopotutto, quando una città ti entra nelle ossa è come l’amante: non puoi vivere senza di lei. Anche se mi fa schifo guidare nella nebbia adoro camminarci, sentire i rumori ovattati, avere questa sensazione di ottundimento costante come se fossi dentro un enorme cuscino. 
È bellissimo. 
Arrivo a un incrocio che non riconosco e mi fermo: semaforo giallo lampeggiante, auto che passano e un paio mi passano davanti. Con la nebbia che c’è devo stare attento, altrimenti mi stirano. Mi guardo in giro e riconosco le insegne: un paio di incroci e ci sono. Mi scalderò in tram e poi a casa dritto sotto il piumino. 
Ecco, lo sento in lontananza, è meglio che mi sbrighi altrimenti lo perdo. Aumento l’andatura, ma è meglio stare attento, mica voglio finirci sotto, no?


Che bella giornata oggi. E pensare che tre giorni fa era tutto così grigio, uggio… invece oggi c’è una brezza che spazza il cielo e lo rende terso, cosa veramente inusuale per Milano. Cielo terso, aria frizzante…è proprio una bella giornata per un funerale.
Come ogni rito funebre che si rispetti sono tutti vestiti di nero tranne mia madre a cui non è mai fregato un cazzo; per lei l’importante è la presenza.
C’è molta gente, non pensavo ne venissero così tanti: molti parenti, anche quelli dalla Svizzera, gli amici più e meno stretti e anche qualche collega di lavoro. Mi aggiro tra la gente per ascoltare incuriosito, in questi frangenti non sono mai stato troppo loquace, preferisco non dire cazzate. Mi avvicino a un capannello di colleghe che staziona in prossimità di mia madre e che tesse ad alta voce le mie lodi. Poi vanno da mamma e le iniziano a sciorinare complimenti e quanto ero bravo, quanto mancherò, quanto ero empatico e umano.
Mia mamma incassa, perché anche se sa la verità non ha la forza di replicargli con il sonoro ‘stronzi’ che si meriterebbero.
Io però la forza ce l’ho.
Siete degli stronzi, degli ipocriti di merda. Me ne avete dette dietro talmente tante da farmi venire l’esaurimento. Mi avete mobbizzato, emarginato, denigrato…e ora siete qui a lavarvi la coscienza. Che possiate crepare tutte gonfie il prima possibile.
‘fregatene’ mi dicono da dietro.
Mi giro, è mio padre. 
Ciao papà. Sono quattro anni che non ti vedo. Da quando sei morto. 
Lo guardo istupidito. È alto come me, fiero, bello ed in salute.
‘fregatene. Presto avranno quello che seminano. Non è karma, non è bibbia. È la vita. Nessuno la scampa.’
Mi prende per un braccio.
‘dai, vieni. Abbiamo di meglio da fare, noi’.
Lo fisso.
‘e mamma?’
‘non preoccuparti. È forte. E noi le saremo vicini. E poi ricorda, mamma è una strega. Lo è sempre stata, quello che vuole lo otterrà’
‘ti trovo bene, sai?’
‘anche tu stai bene per essere passato sotto un tram’
‘non l’ho sentito arrivare’
‘pazienza. Pensa, passiamo tutta la vita ad aver paura delle cose, ma quando queste arrivano capiamo che la cosa peggiore che abbiamo fatto è averne paura’
Ci penso e capisco che ha ragione
‘e adesso?’
‘andiamo a farci una birra, poi vediamo’
‘ma…da morti si può?’
‘non preoccuparti. Vieni con me, lasciati queste cose alle spalle, abbiamo altro da fare.’
‘dici?’
‘sono qui da più tempo di te. E sono tuo padre. Ne saprò qualcosa, no?’
Beh. come dargli torto.
‘ma scusa…e mamma?’
‘non preoccuparti. Le staremo vicino a modo nostro. E lei lo sentirà. Certo che proprio a Natale dovevi farti tirare sotto? Mamma non l’ha presa bene’
‘mi spiace’
‘e andata così ormai. Vorrà dire che faremo la sorpresa a mamma per natale’
‘sorpresa?’
‘fidati. Sono tuo padre’.

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