Devo andare a un aperitivo.
L’unica maniera di frequentare qualche ragazza o conoscerla meglio oggi pare sia ‘l’aperitivo’, a Milano.
Non una cena, o un’uscita o un giro.
Un cazzo di aperitivo.
Che poi una volta l’aperitivo era un Campari col bianco e due noccioline o al limite una tartina; oggi invece c’è una vagonata di cocktail con piatti caldi, ricercati e a volte fuori luogo. Cosa c’entra il Mojito con salsicce e fagioli o i pansotti al sugo di noci?
Niente.
Eppure ogni locale dove fanno l’aperitivo è pieno di gente che si abbuffa nelle maniere più sgraziate abbinando cocktail a piatti che non c’entrano nulla, e quindi salsiccia e riso col negroni, cuba libre e affettati misti , pizza ai quattro formaggi e Bloody Mary.
Questa cosa, unita al fatto che i locali son sempre colmi mi da un fastidio che levati, ma stasera sarò anche io della partita visto che Anja, la mia amichetta serba, ci tiene a provare l’aperitivo milanese assieme a un milanese.
Avrei preferito portarla al solito pub dove mi abbuffo di hamburger di cavallo e birra ma mi sembra un pelo eccessivo, per essere al primo appuntamento ‘serio’.
Visto che sono un po’ nervoso, e visto che non voglio combinare casini e per una volta non voglio bere da subito decido di scendere qualche fermata prima dal tram e farmi un pezzo a piedi per calmarmi, o almeno provare a farlo.
Scendo in circonvallazione e mi dirigo verso viale Col di Lana, poi taglierò sulla Darsena e cercherò un posto confortevole dove poter parlare con Anja senza dover urlare o bere di merda; cammino per qualche minuto tentato di addentrarmi nelle viette che formano il reticolato di case strane dietro Via Giambologna, poi decido di tirare dritto e al limite passare dietro la Bocconi allungando un po’ per il Parco Ravizza.
Arrivo all’angolo con Via Tantardini e malgrado stia continuando a camminare vorrei fermarmi a ridere di gusto. Una ventina di metri davanti a me, nell’oscurità, due ragazzini sui 15 anni stanno limonando duro appoggiati al recito di una casa.
Mano a mano che mi avvicino i due tizi si staccano ma rimangono abbracciati e io, da stronzo curioso, continuo a camminare nella loro direzione come nulla fosse per dare un volto ai due frocetti. Saranno dichiarati o saranno solo dei curiosi alle prime esperienze? Arrivo, supero la coppia, li osservo con la coda dell’occhio e continuo a camminare, prima dandomi do dello stronzo e poi mi sentendomi una merda.
Quello dritto in piedi era un maschio e non c’era alcun dubbio.
Il problema era quello appoggiato al muretto.
Non era un maschio, ma una ragazzina.
Ho sbagliato, e non ci sarebbe nulla di male, non fosse che addosso aveva una vestaglia e una mascherina sterile appoggiata appena sotto il mento.
Ed era rapata a zero, ma non per look o convinzioni punk.
Nei tre secondi in cui sono sfilato davanti alla coppia e li ho osservati con la coda dell’occhio ho potuto riconoscere in lei la malattia, quella brutta, quella che nessuno vuole nominare e che inizia per ‘T’.
E subito dopo mi sono sentito una merda per avere giudicato da lontano, dall’esterno, una situazione che fortunatamente non mi è capitata e che per me è fortunatamente ormai inconcepibile: avere una ragazza terminale a quindici anni.
Mi sento scosso e ho perso interesse nella serata.
Chiamo Anja, invento una scusa e devio verso il solito pub.
Mi farò una birra e poi me ne andrò a casa e cercherò di recuperare domani.
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