La pausa pranzo era un rituale consolidato: pasto al ristorante sotto l’ufficio con un piatto a scelta tra antipasto o secondo, la pietanza ingurgitata velocemente e in malo modo, il resto della cassiera sempre sbagliato, una passeggiata al parco velocissima e il ritorno in ufficio a fare il nulla fino all’orario in cui ricominciare a lavorare.
Era sempre uguale, sempre così ma l’altro giorno le cose andarono diversamente. Stavo mangiando e pensavo ancora alla figura di merda che avevo fatto il giorno prima col meccanico portandogli il mio vecchio maggiolino per la revisione: era talmente tanto che non lo guidavo che mi ero scordato come si innestava la retromarcia, di conseguenza dopo averlo tirato fuori dal box a mano e aver guidato con l’ansia di dover spendere un capitale per sistemarlo arrivai in panico in officina. Parlai col meccanico del problema e lui, dopo aver innestato la retro tre volte senza problemi mi guardò con la compassione estrema di uno che aveva visto di tutto. Ovviamente per me che tenevo a quell’auto in modo maniacale era una cosa avvilente scordarsi la retro, ma alla fine era tutta colpa mia, perché benché tenessi l’auto in ordine e marciante stavo cercando di venderla da quasi due anni: il mio maggiolino non era brutto, non era marcio, semplicemente lo vendevo perché dopo essere stato usato come auto di tutti i giorni per una decina d’anni diventò piano piano una cosa che usavo raramente per via di una serie di paure più o meno fondate che avevo ogni volta che lo guidavo.
Malgrado gli annunci pubblicati le trattative andavano a rilento; a parte qualche cristo che mi aveva contattato per tirare il prezzo a priori o che lo venne a vedere e sparì subito dopo non si era fatto vivo nessuno e ripensai quindi a quando potevo andare a prenderlo dal meccanico e a come promozionare l’auto in modo migliore per venderla al più presto rimuginando per l’ennesima volta se era meglio tenerlo o meno. Il dubbio sparì quasi subito perché la decisione era ormai presa grazie anche alla notizia di un incidente mortale avvenuto dietro casa mia poco tempo prima: un povero cristo su una Mini era stato travolto al semaforo da un furgone guidato da un tizio ubriaco per di più distratto dal cellulare a cui stava rispondendo.
Era una cosa agghiacciante: uno è tranquillo a girare in auto, si ferma diligentemente al semaforo e dopo un minuto non c’è più, travolto da un furgone guidato da uno completamente sbronzo che parla al cellulare alle otto di mattina.
Una storia tragica.
Improvvisamente e per non so che flash mentale mi saltò in testa che qualche mese prima a vedere l’auto venne una coppia, una roba da film: due bei ragazzi, veramente belli, educati, simpatici. Guardarono l’auto, si mostrarono interessati e parlammo un po’ dell’eventuale vendita e facemmo qualche altra chiacchiera piacevole. Lui mi disse che ci avrebbe pensato ma che, nel caso, doveva prima vendere la sua vecchia Mini.
La sua vecchia Mini.
Non era possibile fosse lui, sarebbe stata una coincidenza assurda che quel morto fosse proprio lui, ma decisi comunque di informarmi; finii di ingollare la mezza bottiglietta d’acqua gasata, pagai e corsi in ufficio, mi collegai al pc e cercai tutte le notizie su quel fatale incidente: nomi, fatti, date e foto.
In meno di trenta secondi riconobbi prima la ragazza, poi lui. Mi si gelò il sangue. Per un caso del destino avevo conosciuto quella coppia che dopo qualche mese sarebbe stata divisa per sempre. Le parole che quel ragazzo mi disse ‘devo prima vendere la Mini’ mi rimbombarono in testa come tuoni con davanti le foto del relitto di quell’auto.
Stava costruendo una vita con la sua donna.
Voleva vendere la Mini, quella in cui ci morì dentro.
Mi chiesi per il resto della giornata cosa sarebbe successo se quel ragazzo avesse avuto un altro mezzo, se fosse riuscito a vendere la Mini e a comprare il mio maggiolino o un’altra macchina o cosa sarebbe successo se quel giorno avesse fatto un’altra strada o fosse partito prima o dopo.
Ma coi se e coi ma non si fa la storia.
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