mercoledì 1 novembre 2017

L'INTERPRETAZIONE DEI SOGNI

Vede dottoressa, io non ho mai creduto a tutti quelli che mi raccontano quanto la psicoanalisi sia positiva, quali e quanti effetti rivoluzionari abbia avuto sulle loro menti e sul loro comportamento di ogni giorno. Sinceramente ho sempre pensato che una buona dose di intelligenza e di, mi passi il termine la prego, autoanalisi, siano in grado di gestire, e magari anche guarire, la maggior parte di ferite della mente.
E invece eccomi qui. Perché? Beh, perché qualcosa è cambiato e penso sia giunto il momento di parlarne.
Vede, io con la morte ho un rapporto costante, sin da quando ero piccolo. Mi sono morti due nonni che avevo pochi anni, uno non lo ricordo e una solo vagamente. Uno non l'ho mai conosciuto e il quarto l'ho perso a 14 anni, per poi scoprire che in realtà era il padre adottivo di mia madre, e quindi... mi scusi sto divagando. Dicevamo, il rapporto con la morte. Ecco, a prescindere dai nonni, e dalla morte di mio padre arrivata quando ero poco più che maggiorenne, io sogno di morire più o meno ogni notte da quando frequentavo il liceo.
Sì, esattamente. Il bello, mi passi l'antifrasi, è che sono morti a periodo. Per una settimana sogno di venire seppellito dal soffitto che cade, per un'altra infilzato da qualche arma da taglio per la strada, magari per due settimane di fila sono decapitato sul letto oppure in qualche altro luogo dove dormo. Poi per un mese mi sparano in faccia appena apro la porta di casa. Diciamo che nello spettro delle morti violente mi manca l'annegamento e la caduta da luoghi alti, poi fra elettrocuzioni, sparatorie, crolli, accoltellamenti e investimenti in auto ho più o meno il campionario completo.
La particolarità, che mi ha sempre fatto pensare ma che ho sempre relegato a qualche angolo della mente, è che non vedo mai la faccia dell'assassino, se ce n'è uno. Quando mi sparano in faccia, ad esempio, apro la porta, esco sul pianerottolo e mi arriva il colpo: vedo la pistola, il braccio, a volte anche la spalla ma poi c'è sempre una sorta di nebbia... ha presente i film di Stephen King? Ecco, tipo quelli, una nebbia fitta da cui esce qualcosa di malvagio. Idem per gli accoltellamenti, o quando mi decapitano. Sempre l'arma, ma mai il colpevole. Un po' come il proverbio, anche se lì ci raccontano che si dice la colpa ma non... mi scusi, sto di nuovo divagando.
Eccomi al punto. Sono qui da lei perché è da un paio di settimane che mi investono, se mi permette la battuta. Solo che questa volta la vedo bene la faccia di chi mi investe. Un ragazzo, beh, forse dovrei dire uomo ormai, più o meno della mia età. Con lenti spesse che non riescono a nascondere occhiaie profonde. Lo vedo benissimo, così come vedo benissimo la O che disegna la sua bocca che si spalanca per lo stupore di trovarmi davanti al cofano. Cofano già ammaccato di una Punto, o forse una Uno nera, che si sta piegando verso il basso nello sforzo di una frenata improvvisa. Forse questa volta sono io che spunto dalla nebbia e non qualche arto dell'assassino ignoto.
Ecco, questo sogno con il protagonista ben definito non riesco ad analizzarlo da solo. Forse c'è una qualche forma di messaggio che il cervello mi manda, ma che non riesco ad elaborare... è un po' che ci rimugino ma non riesco a trovare una soluzione.
Quindi chiedo consiglio a lei, che ne dice?
Dottoressa?
Ok, che devo darle le spalle e tenere gli occhi chiusi, per favorire il flusso di coscienza, mi dice. Pero' magari potrebbe anche dirmi qualcosa lei eh, che tra l'altro sono accecato da questa luce freddissima da obitorio che mi passa attraverso le palpebre e sto iniziando a gelare sopra questo suo divano. Ma di che è fatto? Di ghiaccioli? Che poi ho pure i piedi gelati, ora che ci penso. Per forza sono senza calzini. Nemmeno mi ricordavo di essermeli tolti, insieme alle scarpe...  Ma... che è quella roba che mi penzola dall'alluce
Oh CAZZO.

Racconto di Stanislao Katzinski

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