domenica 15 aprile 2018

OGGETTI SMARRITI

Il trenino prosegue al buio e non si vede né dove sta andando né da dove viene. È un coso tipo quelli dove salivo da piccolo al parco, con la differenza che i vagoni ci fanno stare comodamente un adulto e che è lungo almeno una ventina di carrozze. 
Non riesco a contare quanta gente ci sia, ma al momento questa non è la mia preoccupazione, perché la mia domanda è un’altra: come cazzo ci sono finito qui sopra?
Più ci penso, più non mi viene in mente, eppure ho la sensazione che mi sfugga qualcosa.
Già, ma cosa?
Intanto che ci penso passano i minuti, il trenino si addentra sempre di più nel nulla facendo curve, paraboliche, rettilinei finché non si ferma.
Siamo arrivati a una specie di fermata: una minuscola banchina che da su un cunicolo illuminato come un bunker antiaereo. All’ingresso del corridoio c’è un omino grasso e sudato che estrae un notes dalla tasca e chiama dei cognomi: a ogni nome scandito scende una persona che lo segue, dopodiché il trenino riprende la sua corsa nel nulla. 
La stessa scena, ovviamente con uomini diversi, cunicoli diversi e cognomi diversi, si ripete ciclicamente per altre cinque o sei volte. Quando penso che riprenderò il giro daccapo arriviamo in una stazioncina che sembra appena costruita da cui spunta un vecchio emaciato che cammina tutto storto e che si regge a una stampella. Il tizio estrae un biglietto bisunto dalla tasca di un paio di pantaloni che han visto giorni migliori, sputa per terra e pronuncia ad alta voce:
‘Casiraghi!’
Scendo, mi metto a fianco a lui e aspetto gli altri passeggeri che non arrivano perché il treno riparte subito dopo lasciandomi come un fesso col vecchio.
‘siamo da soli?’
‘capita. Di qua, dai. Su, che non ho tempo da perdere’
Il vecchio, malgrado cammini che sembra siamo in barca, va talmente spedito che non riesco a stargli dietro.
‘ehi, capo, aspetta, che cazzo!’
‘ho fretta, siete tutti così voi, mica sei l’unico oggi!’
‘oggi? Ma che è oggi? Che è questo posto?’
Il vecchio si gira, mi guarda dall’alto in basso, poi si da una manata in faccia.
‘un altro che non si ricorda’
‘eh, cosa?’
Sospira
‘senti, qual è l’ultimo ricordo netto che hai?’
Ci penso
‘ero in auto, stavo uscendo dalla tangenziale, ma questo cosa cazzo c’entra?’
‘bene. Nient’altro?’
Mi sforzo. 
‘ho frenato’
‘già, hai frenato. Un po’ tardi, no?’
‘sì, e ho evitato il guardrail per miracolo’
‘ecco, non direi’
‘no?’
‘non saresti qui, ciccio’
‘vuoi dire che…’
‘tocca a tutti’
Rimango paralizzato. Non mi viene da piangere perché non mi sento disperato, né vuoto, né angosciato. Mi sento stranamente a posto.
‘mi sento bene però’
‘buon per te, ora andiamo, che tra poco me ne arrivano altri tre. Seguimi’
Lo seguo per altri cinque minuti in mezzo a un labirinto di corridoi fatto di saracinesche chiuse, armadietti, garage enormi e più piccoli finché non arriviamo davanti a un box che riporta il mio cognome e un numero: 15432-43-5-19051974-24072036-14507656.
‘eccoci. Questo è il tuo box.’
Appena lo apre vedo che è pieno a metà: a sinistra sono stipati fino al tetto scatoloni chiusi con scritte ed etichette che riportano annate, mentre sulla destra ci sono dei fusti chiusi con altrettante etichette. Due fusti sono grossi, e due molto più piccoli più un numero di altri non meglio definiti
‘che è questa roba?’
‘tua’
‘come sarebbe, mia?’
‘è tutto quello che hai perso in vita tua: quattordicimilionicinquecentosettemilaseicentocinquantasei cose’
‘eh?’
‘Il box non mente. I primi tre numeri sono numero del box, piano e subalterno. Poi ci sono la tua data di nascita, di morte, e il numero di oggetti. Sempre aggiornato’
‘e perché?’
‘è così’
‘e io cosa ci devo fare?’
‘ah, non lo so. La roba che perdi finisce qui, come vedi catalogata per annate. Guarda pure. Tutto quello che hai prestato, perso, ti hanno rubato…tutto qui. Anche roba che hai buttato o tagliato come unghie, capelli, sangue e sperma. Ora però, visto che non ho tutto il tempo per te, mi controlli e firmi per ricevuta?’
Guardo sommariamente la lista che indica che giace imprigionata in una cartelletta attaccata al muro. Tutto elencato: pezzi di lego, pelouche, macchinine, un disco degli Iron Maiden, tre maglioni e così via fino ad arrivare a un litro di sangue, due di sperma e cinquecento chili di capelli.
‘ma siamo sicuri che sia tutto giusto?’
Il vecchio mi guarda
‘non ti torna qualcosa?’
‘Beh, i liquidi ad esempio’
Il vecchio guarda
‘operazioni, tagli, sbucciature…un litro lo fai in fretta. E per gli altri due…ci hai dato dentro dai quattordici anni in poi!’ mi dice ridacchiando.
Lo guardo poco convinto, ma lui mi incalza.
‘facciamo così, io torno tra cinque minuti. Tu guarda, controlla, e firma. Poi vediamo’
Mi sfugge il perché di questo reticolo di box sotterranei ma tant’è. Apro uno scatolone, e imbustato trovo la qualunque: macchinine, audiocassette, un guanto, delle monete e così via. Tutto imbustato meticolosamente con data e luogo dello smarrimento o in caso di furto il nome della persona: ogni oggetto, una busta con etichetta.
Più spulcio quelle cose più mi torna in mente tutto: attimi di decenni prima quando ero piccolo, i miei genitori, la mia vita, le ragazze, le seghe, gli amici persi e i compagni di classe. Piango a dirotto, mi si aprono le cataratte come non facevo da anni.
Il vecchio intanto è tornato e mi guarda.
‘a posto?’
Firmo annuendo, mi fido.
‘sì’
‘allora andiamo. Vieni’
Lo seguo senza fiatare, percorro altri corridoi stavolta guardandomi in giro. 
‘Scusa, perché ci sono box vuoti o piccolissimi?’
‘tu hai vissuto anni. Ma i bimbi morti? I neonati? I poveri e i barboni? Loro non avevano un cazzo, e questo è quello che rimane: niente’
Ripenso al mio box, lo confronto con il loro e mi prende male. Poi ripenso alla mia vita e mi metto nuovamente a lacrimare.
Il corridoio è finito, siamo arrivati a un’altra stazione più grande della prima, in tutto e per tutto simile a una vecchia stazione della metropolitana di New York: piastrelle bianche lerce alle pareti, neon sfarfallanti, vento gelido che viene dalle gallerie.
Il vecchio mi guarda serio.
‘beh, io ti mollo qui, tra poco arriva il tuo treno’
Si gira e inizia a ritornare verso i box fischiettando allegro.
‘EHI, SCUSA!’
Si gira.
‘ma che razza di posto è questo?’ gli chiedo ‘dove mi porta il treno?’
‘ah, non lo so dove ti porta. Ognuno è destinato al suo inferno personale’
Si gira nuovamente e scompare nel corridoio.

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