Martina è appena uscita dal
portone della ditta dove lavora; cammina in fretta un po’ per il freddo, un po’
per essere prima possibile a casa e un po’ perché non sai mai chi puoi
incontrare con nel buio di una sera d’inverno. Cammina ingobbita con la cuffia
ben calcata sulla testa e il bavero del cappotto alzato a proteggerla dal vento
che ogni tanto soffia un po’ più forte facendole venire i brividi lungo la
schiena.
‘non ne posso più, entro col
buio, esco col buio…quando vedrò un po’ di sole o un po’ di verde?’
Si ferma un attimo a guardarsi
in giro: nessuno. Via Moscova il venerdì sera alle otto è deserta; sono tutti a
casa, al pub o in viaggio per il week end mentre pare che Martina sia l’unica
eccezione con lo scalpiccio dei suoi tacchi come unico compagno.
Guarda l’orologio che segna le
20:48 e lo sconforto la assale
‘mio dio, arriverò tardissimo!
No, non ho voglia cenare alle undici!’
Scende dal marciapiede e si
appresta ad attraversare Corso di Porta Nuova quando una mano da dietro le
blocca la spalla impedendole di proseguire.
Martina non fa a tempo a
capire cosa stia succedendo che una macchina le sfreccia vicinissimo
sfiorandole la borsa. Non si è ancora girata che sente la voce del proprietario
della mano.
‘attenta! A momenti ti
prendeva sotto! Ma non hai visto l’auto che arrivava?’
Martina è ancora confusa. Si
gira e guarda l’uomo che le sta parlando: alto, secco, vestito di tutto punto e
avvolto in un loden scuro. Al collo una sciarpa chiara, forse bianca, e un
cappello stile Borsalino sulla testa. Ha la mano caldissima, enorme, e un
sorriso contagioso.
‘beh? non ne vale la pena
campare ancora qualche anno? Vuoi proprio buttarti così?’
‘eh…in effetti…si. Ero
soprappensiero….sono stanca, ho freddo, fame, vorrei essere già a casa e mi
sembra di aver buttato via le ultime quattro ore da sola in ufficio’
L’uomo la guarda incuriosito,
poi scuote la testa.
‘questo è sopravvivere, non è
vivere’
Glielo dice con leggerezza,
sorridendo, per farle capire che non ha intenzione di offenderla, poi continua
con quel fare tra il ruffiano e il rassicurante.
‘vedi, io non riesco a
concepire la vita senza avere il tempo per una passeggiata, lo stare con i tuoi
cari o anche solo del tempo per farti una lungo bagno. La vita deve essere un
piacere, sennò che senso ha?’
Martina non ci sta
‘beh, queste cose io non posso
permettermele, purtroppo sono tempi brutti, lavoro non ce n’è e bisogna
accontentarsi.’
Lo sconosciuto ci pensa
‘uhm. Ai miei tempi in effetti
era più facile. Entravi nella ditta o in banca e via, fino alla pensione eri a
posto. e riuscivi a goderti la vita appieno, oltretutto. io sono stato più
fortunato, lo ammetto’
‘a tuoi tempi…esagerato. Avrai
quaranta, quarantacinque anni al massimo!’
L’uomo ride, di gusto.
‘oddio, mi fai così vecchio?
Osserva Martina per qualche
secondo in silenzio, poi riprende a parlare.
‘visto che sembra andiamo
nella medesima direzione, ti spiace se ti accompagno? Sempre meglio che andare
da sola o rischiare di farsi prendere sotto di nuovo, no?’
Così affabile, gentile, una
roba d’altri tempi. Martina però rimane sul chi vive e, benché un
accompagnatore le possa fare comodo per eventuali malintenzionati si rende
conto che il malintenzionato potrebbe essere lui.
‘non so nemmeno come ti
chiami, non so chi sei…scusa, ma potresti anche essere un…’
‘malintenzionato. Vero. Corretto.
Mi dimentico sempre che di questi tempi non è facile fidarsi. Piacere, Fabio
Cattaneo, impiegato, per servirvi!’
Un inchino un po’ esagerato,
l’ennesimo sorriso sornione e l’attesa della reazione di Martina.
‘io sono Martina, ho sonno,
freddo e un contratto schifoso. Ti ringrazio per avermi salvata ma perdonami,
non mi sento a mio agio con gli estranei’
Fabio ci pensa un attimo, poi
comprende il suo punto di vista.
‘ti capisco, dopotutto a ben
pensarci al posto tuo avrei reagito nella stessa maniera. Uno ti aiuta ma
potrebbe pure farlo per metterti in una situazione peggiore. E poi sono stato
forse troppo scortese, a giudicare la tua vita mentre io in fondo nemmeno ti
conosco. Nessun problema, facciamo che non è successo nulla, dai.’
Martina ci rimane un po’ male,
seppure gli abbia detto quello che pensa non intendeva offendere Fabio.
‘no, ma…non volevo.’
‘è tutto a posto, Martina. Non
preoccuparti.’ E le sorride.
Martina pensa che quell’omone
davanti a lei deve essere un po’ squilibrato. Sorride sempre, pare
imperturbabile. O forse è solo una maschera che attira vittime.
‘beh, allora…ci vediamo’
‘ciao, Martina’
Si gira e fa un passo verso
casa, poi si ferma e si rigira.
Nessuno.
Rimane ferma e guarda in tutte
le direzioni.
Nessuno.
Dov’è andato Fabio? Dove si è
nascosto?
Un’auto l’abbaglia e Martina
si toglie dalla strada. Era rimasta in mezzo, imbambolata, a pensare a dove
fosse finito Fabio. Sempre che quello fosse il suo vero nome. Per tutto il
viaggio di ritorno non riesce a non pensare a quell’uomo e a quello che le ha
detto sulla vita e sugli affetti.
Una volta davanti alla porta
di casa infila la chiave nella toppa e viene accolta da Alice, la sua
coinquilina.
‘ecco la donna in carriera da
precariato! Mangi o a letto come sempre?’
‘non…ma sai cosa mi è successo
tornando a casa?’
Alice la fissa con sguardo
incuriosito
‘eh, dimmi!’
Martina ci pensa, poi senza un
perché preciso decide di non dire nulla.
‘a momenti un deficiente mi
tira sotto, mi sono spostata all’ultimo. Pensa te!’
Non sa perché lo ha fatto, ma
le è sembrato giusto così.
A Milano, in prossimità degli incroci, ci sono segnate sul marmo delle
linee e delle croci. Una leggenda metropolitana racconta che era il modo in cui
venivano indicati gli incroci più pericolosi prima che ci fossero i semafori: a
ogni linea corrispondeva un incidente con feriti e a ogni croce un incidente
mortale.
Fabio Cattaneo è una di quelle croci.
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