Era sveglio da un po’ e malgrado il rigirarsi non riusciva a dormire; sentiva caldo, poi freddo, poi nervoso, poi le pieghe del lenzuolo che gli davano fastidio. Alla fine optò per accendere la luce, scoprirsi un po’ e vedere se leggendo qualche pagina di quella noia di carta che si ritrovava sul comodino riusciva a riprendere sonno. Si alzò dal letto, sistemo un po’ meglio le coperte e il lenzuolo e si sdraiò nuovamente. Allungò la mano verso la parte vuota del matrimoniale e la sentì fredda. Si girò su un fianco per prendere il libro e gli scappò l’occhio sullo specchio appoggiato per terra che rifletteva la sua immagine: si giudicò impietosamente e la malinconia iniziò a farsi più persistente.
Sospirò.
Gli era passata la voglia di leggere, prese il telefonino dal comodino e guardò l’ora. Era tardi, parecchio. Non avrebbe sicuramente risposto, lui però decise di mandarle un messaggio comunque. Non si chiese perché, se era opportuno, perché lei: lo fece e basta.
Dopo dieci minuti squillò il telefono.
‘ciao’
Un attimo di silenzio imbarazzato, poi la risposta.
‘ah, tu. Hai bisogno? Stai male?’
‘no, per la verità mi hai mandato un messaggio e….’
‘ah. No, niente, lascia perdere’
‘come stai?’
‘bene, dai, bene’
‘dal tono non mi sembra. E anche dal messaggio’
‘no, no, sto bene. È stata solo…nostalgia’
Lo sapeva che non era vero, si morse la lingua per averlo detto ma non voleva ammettere a se stesso che lei gli mancava, e pure tanto. Un attimo di silenzio, poi Ofelia prese l’iniziativa.
‘vuoi che venga lì?’
‘no, no, è notte, è tardi, nevica, non ti faccio venire fino qui’
‘ne sei sicuro?’
‘sì’
Voleva urlare di no, voleva dirle di venire, le avrebbe preparato anche una tisana, anche solo vederla cinque minuti sarebbero stati sufficienti. Ma l’orgoglio era una brutta bestia, e lui declinò. Si salutarono, riattaccò il telefono e spense la luce.
Dopo nemmeno un quarto d’ora suonarono al campanello della porta. Si mise la vestaglia e andò a vedere chi era che suonava a quell’ora.
Lei.
Aprì senza pensarci due volte e senza pensare che avrebbe potuto tradire la felicità di vederla.
‘ciao, ma cosa…’
‘mi hai fatto preoccupare’
‘non dovevi è notte, nevica…’
‘sì, ma sono a due civici di distanza, non è un grande sforzo mettermi una cosa e venire qui. Posso entrare?’
La fece entrare e la fece accomodare cucina; dopo una rapida occhiata capì che forse più che la tisana era meglio un caffè che lei accettò di buon grado.
Un silenzio imbarazzato fece da cornice al tempo in cui il caffè impiegò dall’essere messo nella moka a finalmente borbottare ed essere versato nelle tazze, seduti uno di fronte all’altra Marco e Ofelia si guardarono in silenzio ancora per un attimo, poi Ofelia ruppe il ghiaccio.
‘e lei?’
‘è andata via, non dorme mai qui’
‘come mai?’
‘lo preferisco. La differenza d’età a volte mi crea imbarazzo, non credo capisca certe meccaniche. Lasciamo perdere poi le differenze tra noi’
‘differenze?’
‘culturali, politiche, musical, generazionali…tutto. Vede i reality, la tv, ha una visione superficiale ma anche molto spensierata della vita, tipica da giovane…e mi capita di citarle film, libri o dischi che lei non ha mai sentito nemmeno nominare. Forse è questo che mi attira, ma d’altra parte mi frustra’
‘anche io e te siamo molto diversi, ma la cosa non ci ha vietato di passare una buona decina di anni assieme, ti pare?’
Marco sorride nervosamente, sorseggia appena il caffè, poi risponde.
‘tu perlomeno sai chi sono i Celestial Season’
Ofelia sorride di rimando, Marco è rimasto il solito.
‘prima di conoscerti nemmeno io sapevo chi fossero. Me li hai fatti conoscere tu’
‘già. E ti piacevano’
‘mi piacciono ancora, se è per quello. Ogni tanto li sento ancora’
‘sul serio?’
‘sul serio. Ma tu piuttosto, quel messaggio, vederti così…triste. Cosa c’è che non va? È il rapporto con lei?’
‘non lo so, Ofelia, non lo so. Mi sento come se non sapessi dove andare. Con te, malgrado tutto, avevo una direzione, un’idea, un obiettivo comune’
‘ma hai deciso tu di andare per la tua strada!’
‘lo so, ma solo adesso mi rendo conto di quanto sia stato sbagliato’
‘forse è la prima volta che te lo sento dire, sai?’
‘lo so’ disse Marco mentre sentiva gli occhi lucidi e appannati dal pianto imminente. Rivedere Ofelia gli fece male: così bella, così comprensiva, eppure così distante. Capì che l’averla lasciata andare fu veramente un errore enorme.
Ofelia finì il caffè, sorrise e guardò l’ora agitando il minuscolo orologio da polso sul braccio.
‘sarà meglio vada, adesso, altrimenti domani sarò uno zombie al lavoro’
Si alzò, ma Marco la trattenne per un braccio.
‘fammi un favore, per cortesia’
‘dimmi’
‘risponderesti a una domanda?’
‘non vedo perché non dovrei, siamo sempre stati diretti tra noi, no?’
‘beh…sai, a volte mi chiedo come sarebbe stato se…ecco, se non fossi stato tanto stupido’
‘non lo so nemmeno io…ma è andata così. Era questa la domanda?’
‘no’ Marco si fece serio ‘semplicemente mi chiedevo se…ti andrebbe di ricominciare?’
Ofelia ci pensò, guardò Marco molto attentamente e rimase a pensarci qualche minuto per lui interminabile, poi lo accarezzò su una guancia.
‘non credo abbiamo mai smesso, sai?’
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