Metropolitana, agosto.
Sono le sette di mattina ed è già pieno di umanità, odori, nevrosi e frustrazioni dovute alla ripetitività delle azioni.
Le solite azioni, ogni santo giorno.
Di sedersi non se ne parla, sono schiacciato vicino a una porta dove mi si sfrega addosso chiunque debba salire o scendere da ‘sto treno infernale.
Mancano ancora dieci o dodici fermate, ho perso il conto da quanto sono infastidito. Non riesco nemmeno a leggere da quanto sono pressato, richiudo quel libro noiosissimo su Bismarck che sto leggendo e cerco di distrarmi guardando il materiale umano compresso con me in questo carro bestiame di lusso.
Immigrati, negri, studentesse, fuorisede, adolescenti che si atteggiano a zoccolette di domani, ciccioni sudati, cingalesi che trasudano aglio e qualche altro vecchio stronzo intollerante di tutto come me. Insomma, sono in buona compagnia. Mi guardo per un attimo nei riflessi del vetro e mi rendo conto che dopotutto son ben mimetizzato nella realtà di tutti i giorni che sto vivendo, non sono granché diverso, faccio parte del bestiame pure io, dopotutto.
Ogni fermata riesco a tirare il fiato perché si aprono le porte, scende qualcuno, entra un po’ d’aria fresca e, a volte, sale qualche persona in meno. in tutto questo trambusto mi soffermo a guardare e radiografare le ragazze che popolano la metro in cerca di non so che cosa. Certo, poi io le guardo manco fossi Johnny Depp con il fare di George Clooney aspettandomi magari che mi guardino sorridendo e non voltando lo sguardo schifate visto che vengono scansionate da un quarantenne sudato e sovrappeso.
Dopo un paio di fermate sale una mora abbastanza appariscente e mi fisso su di lei: capelli lunghi legati a treccia, occhiali da sole enormi, tailleur con pantalone largo scuro su camicia bianca sbottonata sul davanzale e decolleté col tacco dodici di ordinanza. Indossa una borsa Michael Kors e il vestito credo sia Jil Sander o di qualche stilista costoso, si vede dal taglio preciso e marziale. Cerco di notare più particolari possibile malgrado sia a circa tre metri da me con la metro piena: mani curate che però tradiscono una non giovanissima età, un anello sul medio della mano destra, niente fede, unghie lunghe e smalto bianco coi brillantini sul mignolo.
Dalla posizione in cui sono pur spostandomi di qualche passo non riesco a vedere altro. Continuo a guardarla incuriosito e probabilmente lei si sente osservata visto che gira la testa osservando la gente, o forse è anche lei come me, si diverte a guardare l’umanità che le sta accanto. Quando gira la testa verso di me riesco a notare per una frazione di secondo il viso fino ad allora nascosto dagli enormi occhiali da sole.
Non male. Non male sul serio, anzi…avrà un trentacinque anni ma è molto carina. E forse l’essere così curata contribuisce parecchio.
Non mi accorgo che in tutto questo vagare di pensieri il suo viso è completamente girato verso il sottoscritto.
Merda, mi ha scoperto. Non so se abbassare lo sguardo o abbozzare un sorriso, o chissà che altro fare ancora. Sto ancora decidendo il da farsi che Lei mi toglie le castagne dal fuoco: si toglie gli occhiali e mi sorride.
Occhi nocciola, sorriso smagliante. Apre la borsa, mette via gli occhiali, e mi guarda dritto in faccia.
Ecco, e adesso? che faccio? Guardo, sorrido imbarazzato e abbasso lo sguardo.
Non mi era mai successo, non so nemmeno se l’ho mai desiderata una situazione simile, ma sinceramente la trovo imbarazzante più che eccitante, in fondo sono un timido, guardavo solo una bella figa.
Arriva la fermata, la gente scende, la gente sale, entra aria fresca, si chiudono le porte, la metro riparte.
‘non mi dirai che con quello sguardo torvo adesso hai paura di me’
Lei. a trenta centimetri da me.
‘io?’
‘beh dopo aver fissato tutta la carrozza mi hai puntato per un buon due minuti. Come mai?’
Dopo qualche secondo di tentennamento rispondo.
‘curiosità’
‘e basta?’
‘beh…ovviamente ti trovo gradevole, però di base c’è la curiosità nel voler sapere chi sono le persone che vedo ogni giorno’
‘gradevole. Potrei offendermi’
‘scusa, non intendevo…’
Mi sorride.
‘lo so che non intendevi. Ti farai perdonare offrendomi qualcosa’
‘addirittura. E quando?’
‘quando vuoi. Aspetta.’
Apre la borsa, fruga da qualche parte, estrae un porta biglietti da visita, lo apre e me ne rifila uno in mano. Il biglietto recita Laura Agrotti, manager di non so che azienda di public relations e moda, due numeri di cellulare sotto.
‘chiama uno dei due o manda un whatsapp, mi dici che sei quello della metro e ci mettiamo d’accordo. Anzi, come ti chiami, torvo?’
‘Fausto’
‘Fausto il torvo. Che bel nome da malavitoso’
‘mica mi chiamano il torvo’
‘io lo faccio’
Mentre mi perdo a guardare lei e a rigirarmi il biglietto da visita nella mano arrivo a destinazione.
‘ehm…Laura, io sono arrivato, scendo qui. tu ne hai per molto?’
‘dovevo scendere cinque fermate fa’
‘sul serio?’
‘certo, ma non ho saputo resistere al tuo sguardo da maniaco’
Si aprono le porte, scendiamo entrambi e camminiamo fianco a fianco fino all’uscita, in silenzio. Io sono imbarazzato, lei tranquillissima.
‘le nostre strade si dividono. Io torno indietro, ci vediamo presto?’
‘credo di si…almeno…se ti va…’
‘non ti avrei dato il mio biglietto da visita, torvo’
Eh, già, anche lei ha ragione. Resto zitto il giusto per permetterle di salutarmi.
‘quando ci rivediamo non mi interessa come sei vestito, solo rimetti il profumo che hai addosso oggi’
Si gira e decisa si incammina verso la banchina che va nella direzione opposta.
Non ci credo, dai, non è possibile. Questa si fa cinque fermate per parlare con me. Torno alla banchina e cerco di vedere se riesco a scorgerla in qualche maniera. Bene, è lì, dal suo metro e ottanta tacchi compresi che sta in fondo alla banchina. Si guarda in giro e ha di nuovo indosso gli occhiali. Noto che adesso ha anche gli auricolari, chissà che cosa starà ascoltando.
Arriva la metro, si aprono le porte, si chiudono, sparita.
Questa si è fatta veramente della strada in più per parlare con me? Prendo il biglietto da visita e guardo l’indirizzo dell’azienda, lo cerco col telefonino e scopro che è lontanuccio. Ingrandisco sul navigatore e grossomodo sì, sono cinque fermate di metropolitana.
Io non sarò granché giusto, ma pure questa non scherza un cazzo. E la storia del profumo? Altra mattana.
Passo la giornata al lavoro tutto il giorno con in testa il pensiero di lei, dell’incontro, delle poche cose che ci siamo detti. Analizzo tutto mille volte e rimango indeciso se chiamarla o meno, ma alla fine cedo e opto per mandarle un messaggio, alle dieci e mezza di sera.
Aspetto per un buon dieci minuti, poi non arrivando nulla opto per rimanere a fallire sul divano in attesa dell’ora di andare a letto. Alle undici e tre quarti mi arriva la sua risposta, o meglio, la proposta di vederci l’indomani orario ‘apericena’ in un locale di una zona ‘in’, roba che di norma rigetto come la peste perché troppo affollato o pieno di gente odiosa. Nel messaggio mi ricorda di mettere il profumo, cosa che mi incuriosisce perché risulta oltre che fuori contesto anche insistente rispetto al tono del resto.
Con un punto di domanda grosso come una casa mi presento all’aperitivo il giorno dopo: il locale è, inutile a dirlo, affollatissimo. Io mi sento fuori posto solo a vederlo da fuori e inizio come in metropolitana a squadrare la gente che mi si presenta attorno. Più che guardarli male sono incuriosito dal tipo di gente che mi circonda.
All’ora prestabilita lei non c’è.
Cinque minuti dopo lei non c’è.
E nemmeno dieci, quindici e trenta minuti dopo.
Decido di aspettarne altri quindici per poi me andarmene quando la vedo arrivare a passo spedito dal fondo della via.
Appena siamo vicini partono i saluti.
‘è molto che aspetti?’
‘oh, no, sono appena arrivato’
Nel mentre che ci sediamo a un tavolino e ordiniamo i drink mi chiedo perché ho mentito. Tanto lo saprà che sono lì dall’ora pattuita.
‘meglio, così mi sento meno in imbarazzo. Vedo che ti sei ricordato del profumo, bravo’
‘a dire il vero me lo hai chiesto così insistentemente…’
‘esagerato’
‘beh, diciamo che è una richiesta particolare. Posso sapere il perché?’
‘ci siamo appena conosciuti e andiamo così a fondo?’
‘non mi pare di chiedere granché’
‘infatti. Facciamo un accordo: tu guardi la gente con fare tra il torvo e il maniacale. Spiegami perché, io ti dirò la cosa del profumo’
‘beh, odio i posti affollati, non mi piace troppo sentirmi costretto e visto che sono single esamino le bell…’
Mi blocco prima di dire ‘fighe’
‘grazie del complimento! Quindi questo posto per te è una pessima scelta’
‘n…no…dai, ogni tanto…’
‘lo prendo per un sì. Finiamo il drink e andiamo altrove, magari in un posto più consono?’
‘troppo gentile, ne sono onorato. Ma ora posso sapere la storia del profumo?’
‘certo’
Mi fissa e non dice nulla. Io la guardo col fare interrogativo di quello che si aspetta che l’interlocutore parli.
Sorride, poi prende a parlare.
‘scherzavo. Molto semplicemente lo metteva sempre una persona a me molto cara che non c’è più, e quel profumo è un mix di ricordi sia belli che brutti. Però alla fine è piacevole, perché quella persona è con me, e ogni volta che sento quel profumo penso a lei e so che non l’ho dimenticata’
‘scusa la franchezza, ma non costava meno comprarsi la boccetta del profumo?’
‘certo. Però ammeterai che a la bellezza sta nell’imprevisto. E poi a me le cose semplici non piacciono. Per dire…quanta gente ti ha parlato in metropolitana fino ad oggi?’
‘touché’
‘e con quante ‘belle fighe’ sei riuscito ad uscire guardandole così?’
‘ho capito, ho capito…non occorre rigirare il coltello nella piaga’
Arrivano i drink, ho lasciato fare l’ordine a lei e non so che intruglio mi appresto a bere. Laura alza il bicchiere e attende che io faccia lo stesso.
‘allora, Fausto, a che brindiamo?’
‘beh…oddio…’
‘non farla lunga, la vita è fatta di scelte. E a volte le scelte devono essere fatte in fretta, parola di manager’
E che palle ‘ste cose da decisionista ultrafico. Butto lì la prima cosa che mi viene in mente.
‘al profumo e alla persona che lo indossava’
Rimane stupita da non so cosa, ma abbassa lo sguardo per un attimo per poi rialzarlo subito dopo.
‘grazie’
‘e di che?’
‘grazie di aver dimostrato che non sei per nulla torvo o cattivo. Però brindiamo anche all’inizio di qualcosa: un’amicizia, una serie di scopate o entrambe le cose’
‘e tutto per un brindisi?’
‘tutto per un brindisi, per un profumo e per la migliore risposta che potessi darmi’
Nessun commento:
Posta un commento