sabato 11 agosto 2018

PAURA E DELIRIO A LA SPEZIA

Quella che segue è una storia: vera, verosimile o di fantasia decidetelo voi.
Ad agosto 2001 avevo appena terminato un rapporto turbolento con una donna: essendo quindi single e in procinto di farmi l’estate da solo optai per rimanermene in città e magari farmi solo qualche fine settimana o gita in giro. Fu così che accettai l’invito di amici per passare un week end dalle parti di Sarzana. Finii di lavorare prima il Giovedì, presi l’auto e verso le quattro di pomeriggio partii. Essendo nel periodo pre navigatori satellitari mi feci spiegare come arrivare a un puntello comune dove farmi trovare e ci demmo appuntamento per un’ora sotto un cartello pubblicitario sulla statale appena uscito dall’autostrada. Io ero da solo con uno zaino dove avevo portato l’indispensabile e un cadeau di quattro bottiglie di pinot nero per i ragazzi che mi ospitavano, due uomini e una donna.
Arrivati loro e conclusi i convenevoli andammo subito alla casa, ovvero un piccolo casolare isolato sulle colline sopra Sarzana dove non c’era praticamente anima viva. Mollai giù auto e bagagli e, mentre loro si accendevano una canna, io mi rilassai rollandomi una sigaretta e facendo due chiacchiere. Il programma della serata era definito: cannetta, discesa a Sarzana, cena, rientro tranquilli.
Io, non avendo mai fumato, decisi di tenermi fuori dal giro e non iniziare, fui chiaro fin da subito. Dissi ai ragazzi ‘oh, io bevo, voi fate il cazzo che vi pare’ e non ricevetti alcun tipo di controproposta o critica. Eravamo tranquilli e volevamo stare rilassati, dopotutto. Non ricordo se cenammo a casa e scendemmo a Sarzana dopocena o se cenammo direttamente giù, sta di fatto che ho il ricordo di noi quattro in un locale a bere birra e a fare un giro per le strade del centro fino ad arrivare al castello dalle cui mura guardavamo il panorama. Lì i miei amici si accesero la seconda torcia e se la fumarono con calma. Non ricordo se avessi una boccia di birra in mano o meno, sta di fatto che a un certo punto incuriosito dalla cosa chiesi di provare.
Mi chiesero se ero sicuro, e risposi di sì.
Ovviamente, anche se abituato al tabacco la cosa mi fece tossire. E, ovviamente, un tiro non mi fece nulla, per cui mi feci tirare dentro al ‘giro’ e finimmo la canna tutti assieme.
Tornammo alla casa, non ricordo cosa facemmo e mi svegliai il giorno dopo.
Le prime cose furono colazione e spesa al paese perché decidemmo di pranzare in casa. Al ritorno uno dei quattro, quello che era rimasto in casa, era sciallato su una sdraio dopo essersi fatto un personalino: questo per dare l’idea del clima di relax che aleggiava. Credo mangiammo roba alla griglia accompagnata da vino e credo mi feci un’altra canna con loro. Dal risveglio ho ricordi molto foschi e frammentari di quanto successe, ricordo con chiarezza una quantità abnorme di birra, cannoni come se piovessero, una gara da fatti sui go kart, un ritorno in auto con io che cantavo a squarciagola ‘questo piccolo grande amore’ di Baglioni (e io di solito non solo NON canto, ma nemmeno ascolto Baglioni) e la cena dove mi fecero fumare il carciofo, ovvero un cannone conformato come l’omonima pianta che era equivalente ad almeno quattro cannoni. 
La serata finì nell’oblio di canzonette, vino, droga e risate. 
Il giorno dopo, il sabato, mi alzai e la prima cosa che domandai fu chi rollava una canna. Inutile negarlo, ci avevo preso gusto e quel senso di rincoglionimento costante e leggerezza alla testa lo trovavo piacevole. Facemmo colazione e andammo in paese a Sarzana, perché i miei compari avevano noleggiato una barca per la giornata. 
Il programma, infatti, prevedeva il giro delle cinque terre e la circumnavigazione dell’isola Palmaria con pranzo in barca e bagno in anse inaccessibili a piedi. 
Ora, considerando che io non so nuotare, vi potete immaginare come presi la cosa: canna in bocca, birra e via partire col salvagente addosso. Non ricordo dove facemmo tappa per fare nafta alla barca, ricordo che pranzammo in barca, facemmo il bagno in un paio di punti e proseguimmo tranquillamente il nostro giro. Non so per quale motivo ci venne la balzana idea di approdare a un isolotto appena fuori dalla Palmaria: gettammo l’ancora e lasciammo la barca a qualche metro, poi raggiungemmo con qualche bracciata a nuoto l’isolotto che non era altro che un fazzoletto di terra con una costruzione simil militare deserta. Esplorammo per una decina di minuti il nulla presente sulla terra ferma prima di renderci conto che la barca sembrava più lontana di come la ricordavamo. 
Per la verità non sembrava: era più lontana perché stava andando alla deriva. Lì in quattro, una donna, io che non sapevo nuotare e altri due, fatti, che guardavamo la barca sparire. Non so come quello che aveva guidato la barca fino allora si gettò in mare e raggiunse, non senza una buona dose di fatica, la barca. Riuscì a salire ma non riuscì a disincagliare la barca perché l’ancora era rimasta impigliata sailcazzo dove, ma almeno uno a bordo c’era. Nel frattempo, assicurato che la barca non andava da nessuna parte, arrivammo noialtri, compreso me che non sapevo nuotare e mi stavo letteralmente cagando sotto. Ricordo che feci una fatica boia a tirarmi su perché avevo le braccia a pezzi, dovettero tirarmi letteralmente dentro. Appena su e ripresi un attimo aiutai il mio amico a tirare più in alto possibile l’ancora mentre l’altro ragazzo in apnea cercava di disincagliarla. 
Sembra facile a dirlo ma non lo fu per nulla, anche se la cosa importante è che alla fine ci riuscimmo e tornammo a Sarzana sani e salvi. Appena arrivai a terra non riuscivo a rimanere in piedi, mi tremavano le gambe per aver passato il giorno in barca e non ero abituato alla terraferma. Tornammo a casa, doccia, cena, alcool e cannoni. O forse mangiammo a Sarzana, non ricordo. 
Il giorno dopo era arrivata l’ora di congedarsi e partire per cui decisi di non fumare più e stare leggero anche con l’alcool visto che dovevo guidare per almeno due ore sulla Serravalle. Il problema è che non avendola mai fatta prima di allora e tantomeno da solo, non sapevo che l’ultima curva è una vera figlia di puttana che stringe alla fine. Entrai comodo, in corsia di sorpasso, sui 150 o 160 e PEM! Una bella botta contro il guardrail. Il contraccolpo mi fece attraversare le tre corsie e, dopo aver rallentato, mi fermai in corsia di emergenza a prendere fiato dallo spaghetto. Dietro di me si fermò un tizio in un monovolume nero, padre di famiglia con figlia e moglie, che mi regalò una bottiglietta d’acqua e mi fece bere calmandomi. Poi se ne andò e, dopo qualche minuto, ripresi il viaggio e arrivai a casa, sano e illeso.
Più o meno questo è quello che ricordo di quel week end dell’estate 2001: poche cose e frammentate, tantissimo alcool, erba e la vita rischiata due volte. Ecco perché l’ho soprannominato, in modo poco originale, ‘paura e delirio a La Spezia’.

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