sabato 25 agosto 2018

UNA SOSTA IN MEZZO AL NULLA

Nel viaggio attraverso la Croazia intrapreso quest’estate ci siamo ritrovati a un punto dove la mia compagna e io avevamo visto tutto quello che volevamo e dovevamo organizzare il ritorno a casa. Armati di wi-fi, pc e telefonino con app varie organizzo un itinerario (io il viaggio, lei prenota tutto che è molto più brava di me) che si ferma in Slovenia un paio di giorni dove potrò respirare l’aria dei miei avi. Prima però, partendo da un’isoletta vicino Spalato, abbiamo deciso, non essendo più ventenni, di fare tappa a metà strada. Aggiungo che, essendo entrambi abbastanza ‘sulle nostre’, abbiamo cercato un posto possibilmente fresco, isolato, senza turisti e soprattutto senza turisti italiani (se vi chiedete perché, guardatevi in giro in qualunque posto a 400 km dall’Italia: se non vi vergognate per loro siete il tipico turista che IO voglio evitare). Morale, aggiungiamo questa tappa di una notte in un ameno paesino (che non nominerò per lasciarlo puro come è ancora qualche anno) nella campagna in mezzo al nulla; in mezzo al nulla non è un eufemismo come potrebbe sembrare: il paese consta di un ostello dove abbiamo dormito, sei case, la chiesa e l’ovvio cimitero.
Ora, l’ostello e la proprietaria sono quanto di più gentile e gustoso ci sia in giro: gentilissima, buona cuoca, sempre disponibile, veramente una santa. L’ostello è stato risistemato con qualche mobile Ikea e la maggior parte mobilio di recupero tipo divani fatti con vecchi bancali, una pletora di libri da leggere lasciati da gente di passaggio (abbiamo trovato un giallo di Agatha Christie in inglese del 1967), una bassottina affettuosissima e un dondolo (anche questo fatto con materiale di recupero) attaccato a un melo. In sé e per sé l’ostello è un’oasi di pace in mezzo al nulla, anche la temperatura ad agosto è perfetta, si sta bene in maniche corte e la sera metti una felpa, hanno la Velebitsko non filtrata quindi è tutto perfetto, pure la stellata, i grilli e le civette che si sentono la sera e che rompono il silenzio quasi irreale. 
Il giorno che siamo arrivati, dopo aver mangiato come bestie (sia il pranzo che la colazione potremmo definirli eufemisticamente luculliani) abbiamo deciso di addentrarci nel paese per digerire il Gulash e vedere un po’ eventuali alternative per la cena.
Alternative: zero.
Il paese, come già anticipato, consta di quattro case, qualche gatto, e nessuno in giro. Solo in lontananza si sentivano delle motoseghe, cosa già di per sé inquietante. Proseguendo la camminata arriviamo a quello che potremmo definire il ‘centro’, ovvero la piazza dove c’è la chiesa: una chiesetta minuscola e semplicissima che mi ha ricordato parecchio certe chiesette di paese dell’alto adige o della Germania. Di lì, adiacente c’è il cimitero.
Ora, se seguite questo blog sapete che scrivo racconti sulla morte e che sono parecchio interessato al tema, per cui se mi trovo un cimitero di paese solitamente faccio un salto (in modo MOLTO rispettoso) a vedere un po’ chi è sepolto e quali sono le tombe più vecchie, per cui: giù il cappello, niente foto, mi avvicino ed entro. 
Il cimitero di questo sperduto paese però NON É assolutamente come tutti gli altri cimiteri che ho visitato in vita mia. 
Innanzitutto all’entrata c’è un cancello di ferro chiuso con una scritta in croato a chiare lettere e un passaggio per i pedoni subito a fianco. Oltre a questa particolarità decisamente singolare le differenze sono subito tangibili appena entrati: il recinto è una siepe e non c’è nessun muro, c’è un vialetto lastricato che arriva a metà cimitero e poi si procede sui prati cercando per trovare le tombe dei propri cari che sono predisposte in modo casuale, direi quasi confusionario. Solitamente, se ci fate caso, i cimiteri hanno una posa ‘logica’ delle tombe: una parte più vecchia dove ci sono le tombe più antiche, corrose e spoglie, una parte più nuova con i morti più recenti e una parte con le cappelle e le tombe di famiglia. Ecco, qui è tutto mischiato: tombe antiche e consunte accanto a tombe nuovissime, monumenti di famiglia accanto a croci singole, croci di ferro e lapidi in granito, altre croci molto vecchie lasciate cadere nel verde affiancate a nuovi sepolti o ammassate ad altre croci ma tutte, anche le sepolture più antiche, hanno un cero davanti. Nessuna tomba è abbandonata o lasciata spoglia. 
Dopo qualche minuto che girovagavo ho iniziato a sentire una strana impressione, come se ci fosse qualcosa di strano; sarà suggestione finché volete, ma di per se quel posto mette i brividi rispetto a, che so, il cimitero di Lambrate. 
A un tratto, per aggiungere inquietudine a quella che già avevo, noto una tomba che spicca tra tutte le altre: in un mare di lapidi grigie o nere c’è una croce bianca, consunta dal tempo, con una foto proprio nel mezzo. Mi avvicino e vedo che i dati sulla croce sono stati erosi da anni e intemperie, anche se qualcuno ha avuto la cura di scrivere il nome a pennello sulla croce: un lavoro fatto sommariamente, senza attenzione o precisione, una pennellata di nero per sapere che li c’è sepolta una donna che si chiama Ana Župan. Mi avvicino ulteriormente a vedere la foto e mi si gela il sangue: un ovale in bianco e nero, credo della fine ‘800 o inizi ‘900 con questa donna che fissa il suo interlocutore in modo glaciale, profondo, come se gli stesse scavando l’anima. Di foto di colombai o vecchie lapidi ne ho viste, ma questa le batte tutte. Ho terminato la mia visita e sono uscito dal cimitero ma senza smettere di chiedermi chi fosse quella donna e perché avesse una tomba tanto evidente, tanto più che le altre sepolture più o meno della stessa epoca non avevano subito lo stesso trattamento.
Potevo fotografare la lapide? Certo, ma sono sicuro che avrei probabilmente fotografato anche qualcos’altro.
Comunque, Il giorno dopo, roso dal tarlo della curiosità ho deviato dall’itinerario verso casa nuovamente verso il cimitero con il solo scopo di fotografare la scritta presente sul cancello e farmela tradurre: ho qualche amico balcanico o che ha origini di quei posti quindi la cosa non è impossibile (no, non mi fido di Google Translator).
La scritta all’ingresso recita ‘vi smo bili mi ćete biti’ e, a detta di un paio di miei contatti, la scritta non è corretta, in quanto dovrebbe essere ‘mi smo bili vi ćete biti’, ovvero ‘noi eravamo, voi sarete’. Ho riguardato le foto pensando di aver appuntato male la frase, invece ho dovuto arrendermi al fatto che la frase è corretta e il significato è ‘voi eravate, noi saremo’.Decisamente inquietante



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