lunedì 15 ottobre 2018

SFASCIACARROZZE

Roberto Luchena era il titolare dell’autodemolizioni che portava il suo cognome: un piccoletto di cinquant’anni con le fattezze di un barile di petrolio ma una forza bruta dovuta all’allenamento che il suo mestiere richiedeva. Era uno attento, scaltro e gli giravano subito le palle se trovava davanti a se gente che gli faceva perdere tempo o che gli stava sul cazzo a pelle. In quei casi non gli fregava se poteva guadagnarci, per principio li sfanculava e basta. 
Le sue giornate erano sempre abbastanza tranquille: qualche perditempo, un paio di affari loschi, ma soprattutto un bel po’ di gente, meccanici e carrozzieri soprattutto, che cercavano dei pezzi che lui smontava e rivendeva con un profitto più o meno alto. Il deposito non era enorme, ma lavorava bene: arrivava un’auto, entro una settimana era a pezzi, tutto stivato, tutto prezzato e la roba inutile buttata o nella pressa. 
Quella mattina arrivò una signora di circa quarant’anni, ben vestita ma non appariscente. Luchena morse il toscanello facendoselo passare da un angolo all’altro della bocca, si pulì alla bell’e meglio le mani sporche di grasso in uno straccio che pendeva dalla tasca posteriore della tuta da meccanico e si diresse verso la donna.
La osservò dall’alto in basso, la sezionò con cura ed esaminò com’era vestita prima di rivolgerle la parola: le stava sul cazzo, aveva l’aria di una portaguai. L’avrebbe liquidata in fretta.
‘dica’ disse senza salutare e con un tono brusco.
La donna socchiuse gli occhi a fessura trasudando nervoso, poi esordì
‘innanzitutto buongiorno’ replicò ‘sono venuta per lasciarle un’auto.
Con un sorriso sardonico Luchena allargò le braccia, indicò l’officina e replicò:
’signora mia, come vede qui è tutto pieno, non saprei dove metterla, e poi non credo di poterla pagare molto l’automob…’
‘senta, non inizi a raccontarmi puttanate’
‘scusi, ma…puttanate io? Signorina…’
‘io sono una persona pratica, le ho detto che devo lasciarle un’auto, non le ho chiesto né soldì, né informazioni su quanto si gratta la pancia ogni giorno al posto di lavorare’ disse ‘e a giudicare da quella buzza che malcela sotto la tuta direi che il tempo di relax è parecchio’
Luchena se avesse potuto l’avrebbe ammazzata.
‘signorina, è venuta qui per offendermi o per lasciarmi un’auto?’
‘io sono venuta per lasciarle un’auto, è lei che si offende perché le dico la verità delle cose. A ogni modo, l’auto è qui fuori, la vuole vedere o no?’
Sempre più perplesso Luchena seguì la donna fuori dal deposito; un’auto gratis era sempre un affare, sperava solo a questo punto non fosse un bidone ruggine o un catorcio incidentato irrecuperabile.
Come arrivò fuori vide che la donna aveva un pick up con carrello su cui era piazzata una vecchia Volkswagen in apparentemente ottime condizioni. 
Luchena fece due conti a mente e pensò che tra pezzi, motore e demolizione avrebbe potuto tranquillamente recuperare sui duemila euro, forse  di più, visto il modello.
‘è questa?’ disse con consumata abilità di mercante
‘sappiamo entrambi che ci può fare sui temila euro’
‘eh, addirittura…è vecchia, bisogna vedere la ruggin…’
‘che non ha. L’auto è sana, marciante, completamente rifatta e anche gli interni sono a posto. 
Era istupidito. Perché una persona si libera di una macchina sana invece di venderla anche a metà del suo valore?
‘quindi…me la prendo così’
‘e non voglio un tallero’ rispose lei secca.
Luchena non batté ciglio, scaricò l’auto, la accese e la portò nel piazzale dell’autodemolizioni ed uscì per chiudere la conversazione con la donna, ma quest’ultima era già andata via.
Torno nel piazzale ed esaminò nuovamente l’auto, ispezionò i fondi, tutta l’auto, gli interni: era perfetta. Gli ricordò, per modello e colore, la sua prima automobile, comprata anni prima e con la quale era andato dappertutto e con cui ne aveva fatte di tutti i colori. 
Sorrise per la coincidenza ma, pratico di soldi e affari, pensò subito a un paio di contatti cui chiedere in giro per fare fuori il mezzo: a pezzi o intera sapeva gli avrebbe fruttato un bel gruzzoletto. Spinse quindi l’auto in un angolo e tornò ad occuparsi delle sue faccende.
Verso sera, col sole ormai tramontato e la notte ormai incombente, Luchena si cambiò e si apprestò ad uscire quando vide che in fondo al piazzale c’era una piccola luce accesa: era la luce dell’abitacolo del Volkswagen.
Si avvicinò sospettoso, aprì la porta, esaminò la luce: tutto a posto, probabilmente l’interruttore era rimasto sull’acceso e con la luce del giorno non se ne era accorto. 
Si sedette nuovamente in auto per un attimo senza pensare a nulla e con il buio davanti a sé; gli parve per un attimo di essere tornato ragazzo quindi, d’istinto, aprì il portaoggetti che fino ad allora non aveva ancora toccato. In mezzo a vecchi bolli, multe pagate, istruzioni varie e mappe della Germania saltò fuori una ricevuta di trent’anni prima fatta in una trattoria in Toscana. 
Luchena sgranò gli occhi: non poteva essere. Ricordava quel posto e quel giorno. Era uno scherzo? Si alzò, reclinò il sedile anteriore e alzò il divanetto posteriore controllando il numero di telaio: lo segnò, chiuse l’auto e corse come potè in ufficio. 
In un cassetto dove metteva le cianfrusaglie frugò fino a che non scoprì che quella nel piazzale era veramente la sua prima auto: ci era andato ovunque, aveva ogni  tipo di ricordo della sua giovinezza con lei, bello o brutto che fosse e per non si sa che scherzo il destino gli aveva riportato l’auto che aveva venduto ventitré anni prima. 
Fu tentato dal mandare al diavolo gli affari e tenersi l’auto, tanto non c’erano lavori da fare e per reimmatricolarla non avrebbe speso tanto. Decise così fino a che non gli capitò di vedersi allo specchio posto nello spogliatoio: bolso, vecchio, calvo, segnato dagli anni mentre la Volkswagen era lì fuori come fosse uscita dalla fabbrica due giorni prima. 
Roberto Luchena prese quindi la sua decisione: si recò in officina, prese un tubo di gomma e lo collegò allo scarico, entrò in macchina, accese il motore e si chiuse dentro.
Voleva finire così. Doveva finire così.

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