Dopo che il nonno morì andai a trovare più spesso nonna, ma ogni volta mi sentivo sempre più a disagio: casa era d’improvviso vuota, spenta, triste. Era diventata un santuario fermo al tempo della morte di nonno Carlo. Fu così che dopo aver sopportato un paio di anni di apatia totale da parte di mia nonna decisi di prendere la situazione di petto e cercare di darle una scossa per far si che vivesse i suoi ultimi anni senza il senso di colpa di non aver fatto abbastanza per lui.
Un sabato, non atteso, andai da lei e le feci la sorpresa. Era mattiniera, sapevo che non rischiavo di svegliarla. Entrai in casa, mi feci offrire il caffè e le spiegai brevemente cosa avevo intenzione di fare: sgombrare casa, buttare la roba che era di mio nonno e che ormai non sarebbe più servita a nessuno e svecchiare l’ambiente rendendoglielo più accogliente e adatto a lei.
Nonna la prese inizialmente malissimo, si mise a piangere e mi disse che non era il caso. Con calma la feci ragionare, le spiegai che era inutile tenere dei feticci in casa e che era meglio anche per lei ricordare nonno Carlo da vivo e in salute, piuttosto che negli ultimi tempi, malato a letto.
Malvolentieri accettò la mia idea e mi fece vuotare gli armadi dalle poche cose che rimanevano di mio nonno. Riempii due sacchi neri di vestiti, uno di scarpe e poco altro. Poi, nonna Lidia mi indicò un armadio a muro senza dire altro. Lo aprii e iniziai a estrarre cartellette e raccoglitori per consultarli: c’era tutta la storia medica di mio nonno scrupolosamente raccolta dagli anni sessanta alla morte, compresa la copia della cartella clinica fornita dall’ospedale dopo la sua morte.
Mi misi a spulciare tutto, a guardare interrogare le carte sotto lo sguardo triste di mia nonna probabilmente perso nei ricordi degli ultimi mesi di vita di mio nonno.
Mano a mano che vedevo che la roba era da buttare la facevo scivolare a terra; dopo una buona mezz’ora ai miei piedi c’era un bel mucchio di carta, radiografie ed esami che non servivano più a nulla.
Da ultimo trovai il certificato di morte: lo contemplai nella sua semplicità a dir poco disarmante: Carlo Alberto Longhi, nato il primo settembre del 1928 e morto il diciannove aprile del 2016.
Nient’altro.
Un pezzo di carta bianca con delle scritte nere che dicevano che mio nonno era esistito e adesso non c’era più.
Lasciai scivolare il pezzo di carta sul mucchio di esami ormai inutili sospirando perché, guardando quella pigna di roba, mi resi conto che tolto il ricordo di pochi l’unica testimonianza del nostro passaggio sarebbe stato prima o poi uno sterile atto amministrativo.
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