A volte la frustrazione in ufficio produce mostri.
Vero, mi ero reso conto che la situazione mi stava sfuggendo di mano ma la mattina successiva, quando mi sono guardato allo specchio, mi sono reso conto che forse con lei avevo esagerato.
Un attimo, andiamo con ordine.
Io, di base, sono uno pacioso, tranquillo, che si fa i cazzi suoi ed è disponibile. Arrivai anni fa in questa azienda e, come tutti i novellini, pensai bene di essere un pelo più disponibile per fare buona impressione. Peccato però che spesso e volentieri la gentilezza venga vista come debolezza, quindi mi ritrovai, dopo un tempo che non so quantificare, a essere considerato il mulo dell’ufficio e lo scarico delle frustrazioni di tutti. Non so perché ma una collega in particolare, che non so per quale motivo mi aveva preso male, iniziava ad accanirsi in modo pesante: sfottò, comportamento acido o aggressivo, poca o nulla collaborazione fino al non salutarsi alla mattina, dipendeva dal periodo.
Ovviamente, essendo un testardo orgoglioso, perseguii la strada dello scontro e, altrettanto ovviamente la cosa non pagò, perché dire ‘arrivammo ai ferri corti’ sarebbe riduttivo.
Ci odiavamo e nemmeno troppo cordialmente. Ci si evitava, contatti ai minimi, e via di questo passo. Appena uno poteva prevaricare l’altro o metterlo in imbarazzo ne approfittava, anche se, va detto, la femmina in questi casi riesce a essere molto più concentrata dell’uomo e a rinfacciarti cose che tu dimentichi o che dopo un po’ lasci perdere.
Tutto questo andò avanti per almeno quattro anni, in maniera sempre peggiore, fino a che un giorno, non so nemmeno perché, iniziai a trattarla normalmente, fottendomene delle risposte negative.
Lei, ovviamente, ne fu a dir poco sorpresa e rimase a lungo sospettosa: l’orco, il male incarnato che mi tratta gentilmente a me, povera cappuccetto rosso? Ovvio che vuole mangiarmi.
Sbagliato.
Dire che avevo cambiato idea sarebbe falso, tentai solo un approccio diverso per non impazzire e voltare pagina evitando di crollare nell’abisso dell’esaurimento e vivere in maniera un pelo più rilassata le otto ore di ufficio.
La cosa, ovviamente, funzionò poco.
Lei era sempre sul chi vive pronta a bacchettarmi per qualsivoglia mancanza o difetto mentre io rispondevo, stringendo i denti, più gentilmente possibile, il che, ovviamente, non significa che fossi servile. Riuscivo ancora a essere acido talvolta.
Ammetto però che il comportamento si smorzò un po’ anche da parte sua e, ogni tanto e con mio stupore, si lasciava andare a due chiacchiere o confidenze sul privato e le cose sarebbero state anche decenti, almeno fino a quel febbraio.
Insomma, riusciva anche a essere carina e simpatica a volte.
Comunque, quel febbraio non so come mi saltò in mente ma la invitai a pranzo e lei, che quel giorno era senza le colleghe più intime, accettò. Considerando che eravamo a dir poco opposti e sospettosi quella pausa andò anche troppo bene alché proposi di ripetere la cosa più avanti, senza fretta. Le cose alla scrivania incredibilmente continuarono abbastanza tranquille fino a che, qualche tempo dopo, arrivò il suo controinvito che accettai non senza un certo stupore.
Già, ero stupito perché se il primo invito era fatto per la curiosità di vedere se accettava non mi aspettavo che rispondesse dopo qualche tempo invitandomi a sua volta. Consideravo la cosa un ‘one off show’.
Non che le differenze fossero appianate e andassimo d’amore e d’accordo, ma quantomeno riuscivamo a ragionare su piani comuni e avere un civile scambio di opinioni, il che portò a un pranzo piacevole e all’offerta concretizzata qualche giorno dopo di un aperitivo, proposto da non ricordo chi.
Il primo aperitivo fu imbarazzante, né più, né meno: fuori dal contesto ufficio/pausa pranzo eravamo imbarazzati e passammo un’ora a bere sparando cazzate di lavoro senza molto senso e il giorno dopo evitammo di parlarci. Poi, alla sera, la salutai e mi chiese di fermarmi un attimo.
Mi raccontò che non era abituata e si era sentita in forte imbarazzo a bere col ‘nemico’, per cui era rimasta molto sulle sue. Non le negai che mi ero sentito allo stesso modo e le proposi di rimediare subito: altro aperitivo, stavolta lontano dall’ufficio, lasciando gli imbarazzi fuori dal locale.
La cosa funzionò, ma finì anche che bevemmo più del dovuto e finimmo parecchio alticci, e fu così che in un impeto di stupore alcolico le ficcai la lingua in bocca e, incredibilmente, da odiarsi passammo a baciarci in maniera anche troppo appassionata con le mani di entrambi che finivano ovunque.
Il lunedì seguente, anche se la cosa si era fermata a baci e palpeggiamenti, l’imbarazzo tra noi si tagliava col coltello e non sapendo che fare ci guardammo in cagnesco tutto il giorno. Non le rivolsi la parola, lei fece altrettanto e continuammo così per altri tre giorni, fino a che lei tornò prima dalla pausa pranzo e mi trovò sul pc che stavo facendo delle cose mie.
Mollò la borsa sulla sedia, venne da me e mi chiese con fare arrogante se non avevo nulla da dirle, visto che la trattavo di merda da tre giorni.
Avrei voluto dirle che la cosa era reciproca ma tacqui, e tornai ai cazzi miei, lei mi diede uno scossone sul braccio al che mi alzai, la presi e le ficcai nuovamente la lingua in gola. Non se lo aspettava ma accettò la cosa di buon grado e in un attimi riprendemmo da dove avevamo interrotto il rapporto tre giorni prima. Decisi però di fare il passo successivo, la presi per un braccio e la portai in bagno dove me la scopai praticamente vestita spostandole il perizoma.
Venni subito, mi pulii in qualche modo e la aiutai a pulirsi lo sperma che le colava tra le gambe.
Quando si girò capii che le era piaciuto, e che forse voleva ripetere la cosa in maniera più rilassata, quindi ci mettemmo d’accordo per aperitivo, cena…e dopo cena.
Successe tutto il venerdì. Ci fermammo fino a tardi in ufficio, facemmo finta di uscire separatamente e ci demmo appuntamento nel locale della volta prima. Ci facemmo un drink e ci spostammo a cena poco lontano, dove mangiammo annaffiando tutto abbondantemente con il vino.
Eravamo nuovamente alticci ma il freddo fuori ci svegliò quanto bastava per decidere di andare a casa di uno dei due. Decidemmo per casa mia perché era quella più facilmente raggiungibile; inutile dire che il viaggio coi mezzi fu una cosa a metà tra l’imbarazzo alternato effusioni pesantissime e durò praticamente fino a quando, chiusa la porta di casa alle spalle, finimmo nudi a scopare come uomini primitivi sul pavimento. Esplorammo tutte le stanze, le posizioni, le tecniche possibili e che mi ricordavo fino a che, a un certo punto, iniziai a trattarla male, scoprendo che la cosa eccitava entrambi.
La frase da bar che talvolta si usa, ovvero ‘l’ho scopata a sfinimento’ o ‘mi ha vuotato i coglioni’ non rendono ma sono molto vicine a ciò che successe. Non so quante volte venni e feci venire lei, so solo che a un certo punto io ero esausto, non riuscivo più a fare nulla, ero madido di sudore e lei ricoperta di sudore e sperma.
Ed eravamo pure entrambi sorridenti e felici come pasque, come se tutto quello che era appena successo fosse finalmente una liberazione terapeutica.
Ora io sono in bagno e lei è nel letto, ho un enorme mal di testa e ricordi confusi. Piscio, mi sciacquo la faccia e mi faccio il caffè. Sono nudo come un verme con la tazza in mano che bevo e sento lei che si alza, va in bagno e poi mi raggiunge.
Mi guarda senza dire una parola e, da maschio indolente e rincoglionito in doposbronza, non riesco a capire cosa vuole. La guardo: è nuda, i capelli spettinati e arruffati, il trucco colato, il corpo ancora incrostato da sudore e liquidi organici ricevuti la sera prima e una enorme scritta sulla pancia fatta col rossetto che recita ‘fucktoy’.
Mi accenna un sorriso enigmatico, ma la cosa anziché lasciarmi tranquillo mi eccita nuovamente. Quella scritta, il corpo nudo, lo sperma incrostato. Io me la scopo ancora, altroché.
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