sabato 19 gennaio 2019

RUMORI

Di ritorno dall’ufficio come ogni sera Lucio trovò l’ennesimo pacchetto contenente dischi davanti alla porta di casa. Il tizio che faceva le pulizie nel condominio era uso infatti prendere qualsivoglia pacco da sopra la cassetta della posta e lasciarglielo lì, in maniera discreta, per impedire che chicchessia potesse vedere cosa fosse o magari farglielo sparire. Aprì la porta, prese il pacchetto e lo posò nell’ingresso assieme agli altri dell’ultima settimana ancora sigillati. Poi richiuse, si spogliò in qualche modo e si accasciò sul divano.
Era stanco, ma non fisicamente e nemmeno troppo cerebralmente: si sentiva stanco di vivere, esausto, una pila esaurita senza possibilità di essere ricaricata.
Si alzò e andò in cucina, prese un bicchiere dalla dispensa e lo riempì direttamente dal rubinetto vuotandolo d’un fiato. Gli cadde l’occhio sui sacchi della differenziata pieni di cartoni di pizza usati, scatole di tonno e scatolame vario aperte e vuote: le sue cene da non ricordava quanto. Non c’era traccia di alcool perché aveva voluto darci un taglio, diventava troppo loquace e malinconico e non gli piaceva svegliarsi col mal di stomaco il giorno seguente. Guardò l’orologio a parete e vide che erano le otto ma non aveva fame, decise pertanto di mettersi sul divano non prima di aver bevuto un altro bicchiere d’acqua. Si sdraiò in qualche modo e chiuse gli occhi, inspirò profondamente ed espirò. La penombra lo rilassava, pensò che sentiva forse il bisogno di un po’ di musica ma ci ripensò subito, meglio il rumore sordo del traffico nel viale vicino, un brusio indistinto che lo cullava nel nulla.
Due colpi di tosse a causa della gastrite nervosa lo fecero girare su di un fianco, poi ripensò ai pacchetti all’ingresso e sorrise: erano ovviamente dischi, ma non ricordava nemmeno cosa avesse ordinato. Amava la musica in maniera smodata, ma non era più interessato né a sentire il disco né tantomeno ad aprire il pacco; in quel periodo era tutto grigio, non voleva nulla, nessuno, niente. 
Si lasciava sopravvivere perché era esaurito come non mai.
Aveva pensato di tornare dallo psicologo ma un po’ i soldi un po’ il periodo lo fecero desistere, aveva pensato di mettersi in mutua, ma capì che rimanere a casa ventiquattro ore al giorno sarebbero state l’inizio della fine, allora sopravviveva così, come un monaco destinato solo a casa e lavoro. 
Dopo qualche tempo si svegliò, non ricordava nulla e guardò l’orologio: le 22.13. Non aveva ancora fame, si alzò, bevve l’ennesimo bicchiere d’acqua e tornò sul divano. Era venerdì e qualche amico gli mandò uno o due messaggi chiedendogli  se voleva uscire, visto che era un po’ che non si faceva vedere in giro. 
La risposta sua tardò ad arrivare perché voleva evitare che si presentassero sotto casa. Mandò un messaggio verso mezzanotte mentre guardava distrattamente un vecchio horror alla tv, poi spense il telefono.
il giorno seguente Lucio si alzò, si fece il caffè e si guardò in giro. Casa era uno sfacelo, sporca, impolverata, mucchi di vestiti ovunque e quei pacchetti mai aperti. 
Bevve con calma il caffè appoggiato allo stipite della porta della cucina fissando e contando i pacchi, quattro, fermi lì in ingresso. Pensò che ne aveva circa un’altra quindicina stipati nel ripostiglio mai aperti e iniziò a chiedersi da dove questa poca voglia di vivere arrivasse. Era il suo hobby, la sua passione, come mai nemmeno quello lo soddisfaceva più? Si mosse verso un’altra stanza dove le pareti erano piene di mobili Ikea letteralmente stipati di dischi: era la sua Federal Reserve, tesoro e orgoglio, anni di ricerche e ritrovamenti che finalmente avevano trovato una collocazione amati e coccolati a casa sua. 
E invece, ora, avrebbe buttato tutto nel cesso fregandosene altamente.
Si cambiò e, contrariamente a qualsiasi altro week end, decise di andare a fare due passi anziché stare in casa; vicino casa sua c’era un parco e optò per due passi nel verde. Era tentato di portarsi le cuffie per sentire un po’ di musica ma desistette, non ne aveva voglia. Iniziò a girare fino a che, addentratosi nel bosco, a vista d’occhio sparì qualsiasi riferimento legato alla città. Da dove era infatti si vedevano solo alberi, cespugli, marcite; nessun lampione, traliccio, casa o altro. Trovò un’aiuola poco fuori dal sentiero principale e si mise seduto nel prato, seminascosto, a fissare il vuoto, cullato solo dal rumore del vento tra le fronde. 
Chiuse gli occhi, non pensò a nulla e seguì la respirazione che da pesante e affannosa divenne sempre più impercettibile e ritmata col vento. Dopo un po’ aprì gli occhi: non sapeva quanto tempo era passato ma sicuramente si sentiva meglio. Si alzò e tornò verso casa ma decise di fare un minimo di spesa prima nei negozietti del quartiere, una volta tanto voleva prepararsi qualcosa di decente. 
Appena rientrato, Lucio, con l’onda lunga di relax che aveva appena conquistato, si guardò in giro e capì che doveva fare qualcosa. Non poteva continuare così, si stava limitando e non era corretto. Mise con calma tutto in frigo, e iniziò a ripulire casa da cima a fondo, senza badare al tempo trascorso o a trascurare particolari. Dopo qualche ora di buona lena, con la casa pulita come uno specchio e qualsiasi pattumiera buttata si sedette sul divano, chiuse gli occhi e sentì l’aria entrare dalla finestra sul viso: il rilassamento non lo aveva ancora abbandonato, ma in cuor suo sentiva che qualcosa ancora non andava, c’era un particolare che mancava per rendere tutto perfetto. Si alzò, aprì la porta del ripostiglio e guardò i pacchi che giacevano lì da forse troppo tempo. Li prese, uno a uno, e li scartò meticolosamente come era sempre solito fare: dentro c’erano dischi di ogni genere, alcuni cercati, altri solo sognati, altri che non ricordava di aver mai ordinato. Li mise ordinatamente a fianco del piatto e iniziò con il lato A del primo scartato. Appoggiò la puntina e si mise a occhi chiusi sul divano. 
Per un attimo il fruscio che usciva dalle casse sovrastò il rumore del mondo esterno, poi dalle casse ci fu un’esplosione cacofonica che  per altri era tutt’altro che rilassante ma che, per lui, in quel momento equivaleva alla pace.
Life has surface noise (John Peel)

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