Tra una strobo e una luce
rossa sul palco e mentre le orecchie erano completamente assordate dal feedback
delle chitarre buttavo l’occhio per carpire i particolari del suo viso: faccia
completamente deturpata da ustioni, labbro cadente, una parte della dentatura a
vista naso completamente rifatto con quel poco di pelle che copriva le
cartilagini. Provavo stima per una persona che si presentava sola a un festival
in quelle condizioni senza rendermi conto che per lui la cosa non era
assolutamente eccezionale, anzi; quella per lui era la normalità.
Dopo un po’ mi stancai della
band e andai a bere, girovagai per l’area merchandise, mangiai un boccone e
continuai a guardarmi in giro incuriosito. Lo rividi altre due volte di cui
l’ultima al bancone bar dove beveva della birra tramite una cannuccia. Era
troppo, volevo sapere qualcosa di lui, per cui misi da parte la mia timidezza e
riservatezza e andai da lui con la più spudorata faccia di merda che potevo
permettermi: dopo aver appurato che si poteva interagire, lo misi subito a disagio
con le domande più dirette, tanto ne valeva farla subito fuori.
Mi spiegò che era la prima
volta che qualcuno che non conoscesse era così diretto e che, malgrado la
scomodità delle domande, apprezzava l’onestà e il mio non girarci attorno alle
cose. Non perse altro tempo e mi raccontò che oramai a essere così era
abituato, la cosa gli era successa anni fa per un incidente con suo cugino di
cui non mi chiarì troppo la dinamica ma che aveva superato. A far breve la
storia lunga suo cugino rimase illeso e lui ci rimise la faccia e tutto quello
che ne veniva assieme, ovvero una normalità sociale, una vita sentimentale, il
non essere guardato come un fenomeno da baraccone facendo le cose più normali
come girare per strada o fare la spesa. Il discorso poi deviò sul festival,
sulla musica, parlammo un altro po’ delle band e gli offrii un’altra birra che
lui accettò un po’ riluttante perché poi doveva guidare.
Credo fosse contento per una
volta di conoscere una persona che malgrado la curiosità lo trattò come un
essere umano, anche se solo per venti minuti.
Certo di quell’incontro, oltre
al suo lato spaventosamente umano dietro un viso così deturpato, mi rimasero
impressi il fatto che si portasse dietro una foto di com’era prima dell’incidente
e quello che le mie scarse nozioni di francese mi fecero capire essere un
articolo di cronaca nera che parlava della morte accidentale in un incendio di
un’intera famiglia.
Lo salutai cordialmente ma
senza prima provare un brivido di inquietudine e un dubbio grosso come una casa
sull’uomo sfigurato e sulla sua storia.
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