venerdì 15 febbraio 2019

TI PORTO VIA LA FACCIA

Me lo sono beccato come un faro che illumina la notte, proprio a fianco a me mentre suonava uno dei gruppi di apertura: era praticamente un teschio col cappello da cow boy, una cosa simile ai fumetti o a quei film di serie B che vedi ogni tanto in televisione.
Tra una strobo e una luce rossa sul palco e mentre le orecchie erano completamente assordate dal feedback delle chitarre buttavo l’occhio per carpire i particolari del suo viso: faccia completamente deturpata da ustioni, labbro cadente, una parte della dentatura a vista naso completamente rifatto con quel poco di pelle che copriva le cartilagini. Provavo stima per una persona che si presentava sola a un festival in quelle condizioni senza rendermi conto che per lui la cosa non era assolutamente eccezionale, anzi; quella per lui era la normalità.
Dopo un po’ mi stancai della band e andai a bere, girovagai per l’area merchandise, mangiai un boccone e continuai a guardarmi in giro incuriosito. Lo rividi altre due volte di cui l’ultima al bancone bar dove beveva della birra tramite una cannuccia. Era troppo, volevo sapere qualcosa di lui, per cui misi da parte la mia timidezza e riservatezza e andai da lui con la più spudorata faccia di merda che potevo permettermi: dopo aver appurato che si poteva interagire, lo misi subito a disagio con le domande più dirette, tanto ne valeva farla subito fuori.
Mi spiegò che era la prima volta che qualcuno che non conoscesse era così diretto e che, malgrado la scomodità delle domande, apprezzava l’onestà e il mio non girarci attorno alle cose. Non perse altro tempo e mi raccontò che oramai a essere così era abituato, la cosa gli era successa anni fa per un incidente con suo cugino di cui non mi chiarì troppo la dinamica ma che aveva superato. A far breve la storia lunga suo cugino rimase illeso e lui ci rimise la faccia e tutto quello che ne veniva assieme, ovvero una normalità sociale, una vita sentimentale, il non essere guardato come un fenomeno da baraccone facendo le cose più normali come girare per strada o fare la spesa. Il discorso poi deviò sul festival, sulla musica, parlammo un altro po’ delle band e gli offrii un’altra birra che lui accettò un po’ riluttante perché poi doveva guidare.
Credo fosse contento per una volta di conoscere una persona che malgrado la curiosità lo trattò come un essere umano, anche se solo per venti minuti.
Certo di quell’incontro, oltre al suo lato spaventosamente umano dietro un viso così deturpato, mi rimasero impressi il fatto che si portasse dietro una foto di com’era prima dell’incidente e quello che le mie scarse nozioni di francese mi fecero capire essere un articolo di cronaca nera che parlava della morte accidentale in un incendio di un’intera famiglia.
Lo salutai cordialmente ma senza prima provare un brivido di inquietudine e un dubbio grosso come una casa sull’uomo sfigurato e sulla sua storia.

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