Non troppo tempo fa su questo schermo ho parlato di amicizie, oggi vorrei raccontare una storia a riguardo.
Attorno al 2001 ho conosciuto una ragazza che definire esuberante è limitativo. Io, con tutto il bene che le voglio, l’ho sempre definita ‘matta come un cavallo’ e credo che questa descrizione riassuma abbastanza bene il tipo. Il problema, che problema non è poi, è che costei non è solamente così: è anche intelligente, acuta, autoironica e figa. Insomma, ce le ha tutte lei. Probabilmente nel momento in cui si distribuivano le qualità lei ha menato quelli davanti a lei in fila ed è passata avanti, chi lo sa.
A monte di tutto, ho frequentato Annabella per un po’ di tempo fino a che, al solito, l’ho persa di vista. Perdere di vista la gente è una cosa che succede, alla fine, ed è normale quando si prendono sentieri diversi. Poi magari saltano fuori incomprensioni, casini ed altro che poi vengono appianati perché se il rapporto è di un certo spessore il sentimento rimane.
Se ancora penso a quando ci siamo conosciuti e frequentati nei primi tempi, mi tornano in mente tre episodi abbastanza fulgidamente: una lettera che mi scrisse nel 2001, credo, e che conservo tuttora nel cassetto del comodino, una domenica pomeriggio in cui passeggiammo sui navigli (aveva parcheggiato in Darsena quando si poteva) dove ricordo comprai un cd dei Clawfinger dal Discomane e una cena di gruppo sopra Genova dove ubriachi persi scandalizzammo il cantante di un gruppo death del posto conosciuto per essere una vera teppa.
Purtroppo sì, la mia vita è scandita dalla musica, anche se per molti è a tutt’oggi incomprensibile.
Poi, come detto qualche riga sopra, io e Annabella ci siamo persi di vista e ognuno di noi ha continuato con la sua vita, in maniera più o meno normale (per quello che possa risultare la mia e la sua, di normalità, visto che lei è esuberante come ho scritto sopra e io di sicuro sono un disturbato).
Quando nel 2006 mi sono trasferito e sono andato a convivere per poi sposarmi ho continuato al solito il mio hobby di collezionismo/accumulo indiscriminato/esasperazione nel comprare dischi; ovviamente, per i titoli di maggior valore la spedizione era tracciata e, altrettanto ovviamente, il sabato mattina avevo il pellegrinaggio all’ufficio inesitate di Via Bonghi.
Il rituale era sempre quello: cartolina, ufficio, pacco, casa. Qualche volta però la mia attenzione fuori dall’ufficio postale era attirata da una Volkswagen con il portellone sovraccarico di adesivi tra cui ne spiccava uno con un enorme 666. Rimasi più di una volta incuriosito dall’auto chiedendomi chi fosse il proprietario.
Quello che non sapevo è che io su quella macchina ci avrei messo piede tempo dopo perché il proprietario, o meglio, la proprietaria, la conoscevo e pure bene. Sì, proprio lei: Annabella.
E così, alla fine ci siamo rivisti per qualche periodo e qualche serata prima che lei decidesse di trasferirsi nuovamente, ma non prima di organizzare una festa di addio nel suo appartamento. Ricordo che quella sera fui il primo ad arrivare e cenammo da soli con una pizza presa da asporto, poi arrivò altra gente ma io e lei stavamo già carburando ed eravamo in modalità Ke$ha, il che significa che di quella serata ho pochi ricordi alcolici e foschi.
Ricordo una boccia di tequila aperta e finita, degli strani pasticcini, alcool, musica, alcool, lei che indossava un giubbotto con scritto sulla schiena a caratteri cubitali ‘SUCA’, altro alcool, la vista di Milano dalla ringhiera del palazzo, un botto di risate, la cera colata sul muro, varie ed eventuali.
A fine serata, credo fossero tipo le quattro, con tutti gli astanti sbronzi da fare schifo (io raramente barcollo, ma quella sera per me era un miracolo reggersi in piedi) ci congedammo non prima che lei dicesse ‘Ma come tornate a casa?’
‘A piedi!’
‘No, no, vi accompagno io!’
Ora, non è che Annabella fosse sobria, tutt’altro. Diciamo che guidò l’auto in maniera ‘fantasiosa’ ed arrivammo a casa tutti sani perché probabilmente Satana fu benevolo a non portarci all’inferno o aveva di meglio da fare.
Dopo allora scomparve per un altro periodo salvo poi rientrare nella mia vita nuovamente un anno e qualche mese dopo: per motivi che non andrò a spiegare le mandai un messaggio dove le chiedevo un consiglio personale a cui rispose a modo suo.
Ora, Annabella è il tipo di persona trasparente e che non si fa problemi a dire cosa pensa, ma proprio senza filtro alcuno. Le domandai quello che domandai perché volevo la cruda verità, che puntualmente mi arrivò. Lei è una persona schietta che vuole attorno a se persone schiette. È una qualità che adoro perché so che se mi si deve dire ‘testa di cazzo’, il giudizio non verrà edulcorato, anzi, verrà fuori senza filtri condito da una serie di motivazioni precise e analitiche.
Malgrado la lontananza o la rarità dei contatti è una persona che reputo tra gli amici della cerchia più stretta, perché so che se ho bisogno lei c’è, nel bene e nel male, ed è una di quelle persone che se rivedo dopo mesi è come se fossero passate solo poche ore.
E, nel caso ve lo stiate chiedendo…dopo quasi 20 anni sì, è un po’ cambiata, ma non crediate che Annabella sia diventata la classica donna italiana casa e ‘Pomeriggio 5’: ora magari prima di mandarti affanculo ci pensa un attimo, ma nel caso non si fa problemi, ma proprio zero.
Una precisazione: Annabella non è ovviamente il nome vero, ma ho deciso per questo pseudonimo per due motivi:
1 – sicuramente lei leggendo questa storia apprezzerà il trash squisitamente anni ’80 della citazione di ‘Annabella Pavia’.
2 – se una donna si chiamasse effettivamente così tutti starebbero a dirle ‘ma Annabella come la pellicceria?’ il che è quello che a lei succedeva puntualmente visto che ha un nome praticolare. Inutile dire che la cosa, a memoria, le causava la difterite, i fuochi di Sant’ Antonio e improvvisi attacchi di violenza verbale sul malcapitato.
Ecco, finito questo ricordo mi è venuta voglia di Campari.
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