venerdì 15 marzo 2019

L’ ULTIMO TRIBUTO

Fare duecento chilometri in giornata per andare al funerale della compagna delle superiori per cui avevi una cotta e che non ti ha mai cagato di striscio? Fatto. Ritrovarsi a un funeral party in pieno stile inglese dove non conosci praticamente un cazzo di nessuno e dove è pieno di vecchi compagni di classe con cui non condividi nulla se non l’imbarazzo? Fatto. Bere cinque o sei calici di prosecco per sentirsi alticcio e disinvolto e malgrado la nausea rendersi conto che l’imbarazzo non è sparito? Fatto. E per tutto il resto c’è Mastercard. 
Sto fissando da lontano il feretro aperto chiedendomi per l’ennesima volta chi cazzo me lo ha fatto fare di venire fino a questo paese in culo ai lupi per rivedere il cadavere di Claudia mentre cerco di trattenere la nausea che mi vorrebbe portare in bagno a vomitare tutto il vino che mi sono trangugiato. 
‘…che coglione’
‘prego?’
Ecco, mancava il parlare da solo ad alta voce e questo che mi attacca bottone, ora siamo a posto. Mai visto prima. Chi cazzo sarà, poi.
‘no, scusi, mi è scappato, rimuginavo tra me e me. Sa, i ricordi…’
‘ah…capisco. Lei conosceva Claudia?’
‘no…sì…nel senso…ero un compagno di classe alle superiori. Poi lei si trasferì qui e ci perdemmo di vista. Sa, l’era pre-internet…’
Il tipo annuisce, io vorrei aggiungere ‘ed è successo prima che potessi toccarle le tette’ ma non ho bevuto abbastanza da essere così loquace. 
‘lei invece…’
‘oh, io…semplicemente un collega. Eravamo amici, abbastanza intimi.’
‘capisco’ 
Il tipo mi guarda, annuisce, mi sta accanto per qualche secondo, poi capisce che non è cosa e si allontana. Che sia frocio? Chi se ne frega. Voglio rimanere in disparte fino a che non finisce sta roba, poi appena iniziano a buttare la terra sulla bara son già in autostrada che volo verso casa.
Sono indeciso se bermi un altro prosecchino o vedere la salma e darle l’ultimo saluto, ma lo stomaco decide per me: mi viene su un rigurgito acido e finalmente sparisce la risacca di liquido alcolico che avevo nello stomaco. Volo al tavolo del cameriere e mi sparo altro calice mentre metà degli astanti mi guarda male; mi asciugo la bocca con un tovagliolo di carta, poi mi avvicino piano verso la bara. Mi sento euforico, ma non so perché. Si, va bene, c’è l’alcool, ma non è solo quello. È che sono ancora vivo forse? È che bene o male nella mia vita sregolata mi sento meno impagliato di questi qui presenti? Sa il cazzo, non voglio pensarci. Meno di tre passi e son davanti a lei, Claudia: me la ricordavo bellissima alle superiori, anche se le vecchie foto riguardate di recente storpiano la sua bellezza a causa di quei vestiti e quelle acconciature assurde che per fortuna non si usano più. 
Adesso è vestita con un tailleur nero e camicia bianca, da donna in carriera. I Capelli rossi sono sciolti sulle spalle e curatissimi; è pallida, è il caso di dirlo, come una morta e le sue piccole lentiggini sulla faccia impreziosiscono un’immagine già di per se bellissima. La ricordavo come una bella ragazza ma crescendo è tutta un’altra categoria: una gran figa, una specie di Julianne Moore de noantri. Peccato sia morta.
Mi perdo ad osservare lei, le lentiggini, il trucco, i capelli, la curva del seno e i polpacci: tutto perfetto. Mi sento nervoso, agitato, sudo, tremo. Mi allontano, torno dal cameriere e gli chiedo un bicchiere d’acqua gelata. Lo trangugio d’un sorso e poi gli chiedo dove sta il bagno, devo chiarirmi le idee. Appena me lo indica mi ci fiondo dentro e mi siedo sulla tazza e cerco di calmarmi. Malgrado ci stia provando con tutte le mie forze appena chiudo gli occhi mi appare davanti il cadavere di Claudia. Non i ricordi delle gite o della classe, ma il corpo freddo di adesso, visto nemmeno un minuto fa. E poi la immagino viva, andare in giro, in ufficio, a far la spesa, a correre o al mare a prendere il sole in topless: sono travolto da un turbinio di fantasie che vanno dal romantico al laido.
Non ce la faccio più, mi calo i pantaloni, mi prendo l’uccello in mano e mi faccio una sega. È pazzesco, volgare, inadatto finché vuoi ma non me ne frega un cazzo. Ho voglia di farmi una bella e ricca sega dedicandola a Claudia e nessuno me lo può impedire. Ripenso a lei, a com’era, a come potrebbe essere stato vederla in spiaggia e intanto continuo a menarmi il cazzo fino allo scontato epilogo. 
Appena ho finito e torno lucido mi rendo conto della comicità della cosa: mi sono sparato una sega a un funerale, con la bara e la morta a nemmeno tre metri da me. Passati quei trenta secondi di imbarazzo per la situazione mi ripulisco, mi risistemo, mi sciacquo la faccia ed esco dal bagno. Torno nell’altra stanza e rimango lì in disparte, ad osservare la gente che si riunisce per porgere l’ultimo saluto a Claudia. 
D’improvviso non mi sento più fuori posto, non mi frega più un cazzo di niente e non ho nemmeno più fretta di tornare a casa dopo il funerale, anzi: quasi quasi vado a farmi un altro bianchino.

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