Ormai credo sia passato un mese dall’episodio della porta, e non è più successo nulla.
Eppure.
Eppure quella cosa, quella storia che non ho vissuto sta continuando a macinarmi dentro come un virus, consumandomi giorno dopo giorno. Daniela dice che sono sempre più cupo e taciturno e probabilmente ha ragione. con la band è tutto in stand by e anche sul lavoro le cose continuano con immani sforzi da parte mia e conversazioni fatte da monosillabi.
Una sera Angela mi ha preso da parte fuori dal lavoro ma dopo cinque minuti e un cazzotto nello stomaco ha rinunciato e se ne è andata.
Adesso sono qui, alle 21:04, seduto sulla stessa panchina di quello che dovrebbe essere il Parco Forlanini dove i miei genitori parlavano e discutevano mentre io e mio fratello andavamo in bicicletta. Ho il magone, vorrei piangere, urlare, sfogarmi e abbracciare qualcuno ma non riesco.
Decido di fregarmene, lascio da parte la borsa del lavoro, mi tolgo le scarpe e cammino a piedi nudi sull’erba. Mi rendo conto che da fuori può sembrare una cosa comica, ma più cerco di scacciare il pensiero più inizio a ridere sguaiatamente. E più rido sguaiatamente più arriva la disperazione, sento il dolore, la morsa al cuore della depressione e inizio a piangere.
Mi accascio, mi metto a gambe incrociate nell’erba e lascio fluire tutto. Non so perché, non so come mai ma sta uscendo tutto e non so se sia un bene o un male. Per un tempo che mi sembra infinito continuo, sento pure l’eco dei miei singhiozzi da quanto è deserto il parco, poi, così come è iniziato, smetto e mi calmo.
mi asciugo la faccia con la manica della maglietta, mi premo le narici e mi soffio il naso senza fazzoletto dritto nel prato e sì, mi sento meglio. Mi rendo conto che è venerdì, ma non dovrebbe essere uno di quelli proibiti. Guardo il calendario e mi tranquillizzo, va bene così, è tutto a posto. Mi rimetto con calma sulla panchina, mi siedo, mi rimetto le scarpe, apro la borsa e cerco il cellulare: nessuna chiamata.
Bene, meglio così.
Mi dirigo verso l’auto, con tutta calma la prendo e guido lentissimo verso casa. Arrivato in prossimità parcheggio non troppo vicino perché voglio ancora fare due passi, poi finalmente entro in casa e trovo Daniela sul divano infilzata nella coperta di pile con lo sguardo fisso sulla tv, stavolta accesa, che trasmette un vecchio film di guerra.
Senza guardarmi alza la mano e mi saluta: tutto normale, da che vivo con lei lo fa sempre quando qualcosa le interessa in tv.
‘ciao’
‘mmmh’
Mi spiace interromperla ma devo farlo.
‘Daniela’
‘dimmi’ risponde senza staccare lo sguardo dalla tv
‘devo parlarti’
‘non potemmo….occazzo ma tu hai pianto! Ma cosa è successo?’
Mi blocco. Le vorrei dire che mi sento vuoto, che il personaggio di Toby Dammitt in ‘tre passi nel delirio’ col suo carico di disperazione riflette benissimo come mi sento, ma come faccio?
‘no, niente, o meglio…ci sono delle cose che devo dirti da tempo’
Mi guarda sospettosa e inizia ad adombrare lo sguardo come quella che teme il peggio. Io, da par mio, cerco di tranquillizzarla.
‘no, non tirare conclusioni affrettate. Vorrei per una volta sfogarmi’
Strabuzza gli occhi
‘tu? Non lo hai mai…no, scusa, lascia perdere. Dimmi’
‘vedi, ero al parco e….ecco…ho iniziato a pensare a una serie di cose. A me, a come sono, come sono cresciuto, al mio rapporto con te…ed ecco…’
Mi fissa a bocca aperta incredula
‘devi perdonarmi’
‘ah. E di che?’
‘io faccio fatica a dire cose penso. Cosa provo. Cosa vorrei. Per me è veramente difficile. Arrivo a un momento in cui sono lì lì per dirlo…e nulla, poi penso che non gliene frega un cazzo a nessuno e lascio perdere’
‘hai una strana concezione della vita di coppia ultimamente, sai?’
‘già. Però, ecco…quello che volevo dire…è che sto cercando, mi sto sforzando di essere più aperto, ma faccio una gran fatica’
‘un po’ me ne ero accorta…ma le lacrime?’
Mi blocco.
‘non lo so. Sono venute così. Posso dirti un’ultima cosa?’
‘dimmi’ risponde guardandomi sempre più perplessa
‘volevo solo farti sapere che con te sto bene. Che non sei perfetta ma mi completi. E che sono fortunato ad avere una come te che mi sopporta’
Mi sorride, in una maniera contagiosa. Più lei sorride più io stringo i denti e sento la disperazione dentro di me. Non perché le abbia mentito, ma perché è così, sento il panico, il dolore, la tristezza.
E così, mentre lei mi abbraccia ed è felice per una maldestra dichiarazione d’amore, io piango singhiozzando e bagnandole la spalla della maglietta.
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