Non sono quello che si dice uno che ama l’avventura: spesso e volentieri sono contrario a provare cose nuove e preferisco rimanere aggrappato ai miei rifugi, alle mie certezze, alle mie ordinarie quotidianità.
Tolto un breve periodo della mia vita dove ho letteralmente preso tutto quello che arrivava (e che, beninteso, è stato forse uno dei miei periodi migliori) per il resto sono rimasto chiuso a guscio nel mio castello.
L’universo è mutevole e io mi ostino, sbagliando, a volere certezze.
È normale esserlo, alla fine. Vivi bene e non hai la benché minima voglia di cambiare. Quindi ti ritrovi allo stesso pub, allo stesso ristorante, allo stesso bar in pausa pranzo, frequenti gli stessi posti e le stesse persone. Ed è piacevole, per esempio, arrivare al pub e vedere che come entri ti spinano la tua birra senza il bisogno di chiedere. Solo che, magari, non essere così rigido e provare qualcosa di diverso ogni tanto aiuterebbe.
Nella mia vita questi confini sono a volte stati abbattuti un po’ perché certe situazioni alla lunga annoiano e un po’ perché alla fine ti rompi i coglioni, ed ecco che inizi a cambiare, girare, scoprire nuove cose e conoscere nuove persone.
Ecco, per me conoscere nuove persone è interessante e stimolante, mi apre nuovi orizzonti, ma anche in questo caso sono molto settoriale perché le divido in tre categorie: colleghi, conoscenti, amici.
I colleghi sono presto descritti: sono ovviamente i colleghi di lavoro con cui hai a che fare, con cui parli; io manco quello faccio, sono molto dito al culo, potremmo dire, perché se non trovo terreno comune di conversazione manco inizio.
I conoscenti sono quelle persone che frequenti, con cui hai un rapporto più stretto, ma non così stretto (almeno, io non le considero tali) da considerarle ‘amiche’.
Gli amici, per me, sono pochi. Molto pochi. Sono quelle persone con cui parli di tutto, che sai che non ti giudicheranno ma che, per me, sono sempre sul filo. Me ne fai una grossa e ti cancello. Non torni indietro nella cerchia dei conoscenti, torni direttamente tra gli sconosciuti. Sono rigidissimo, è vero, ma da par mio al di là di belle parole e pacche sulle spalle sono sempre disponibile o, almeno, cerco di esserlo anche se a modo mio. È per questo che ho pochi amici che sanno come e dove trovarmi e che, anche se non ci vediamo per anni, appena ci ribecchiamo è come se ci fossimo salutati il giorno prima.
Per questi motivi rimango spiazzato quando mi vengono fatte delle confessioni che (perdonatemi l’inglese) sono completely uncalled for. Mi chiedo che significhi: cioè, perché mi stai dicendo questa cosa? Volevi toglierti un peso o abbiamo varcato una delle due soglie di cui sopra? La domanda, il dubbio, o il tarlo, mi è venuto perché recentemente mi è capitato per ben due volte. Due persone (e anche qui inglese a manate) out of the blue mi confessano delle loro cose pesantemente personali che, a detta loro, so solo io.
Premesso che ora ho la certezza che in un universo parallelo sono un prete, non posso fare a meno di sentirmi imbarazzato ma al tempo stesso lusingato. Sono uno stalker, e si sa, ma certe cose non le avrei mai sapute manco indagando.
Quindi? Siamo diventati amici? Devo ricalibrare certi miei parametri? Perché fuori dai denti mi è stato palesemente detto che sono una di quelle persone molto diverse dalla gente che gira normalmente per strada.
Beninteso, non è che sono un santo infallibile, anzi, ho dei difetti grossi come case ma, in questo caso, parrebbe che tutto sommato possiedo anche dei pregi indiscutibili, almeno a detta di altri.
Quindi, alla fine della fiera, come in un ristorante, Vi ringrazio della fiducia accordata e spero di continuare la frequentazione quanto prima.
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