martedì 18 giugno 2019

NON SONO MATTO, ANCHE SE PUO’ SEMBRARE

Tra il 2002 e il 2018 ho posseduto un maggiolino. Vi fermo subito: no, non il New Beetle o il remake recente. Ho avuto il real deal, uno splendido 1974 che presi in un periodo particolare della mia vita. Non fu granché un affare perché non intendendomi di meccanica trovare un meccanico, carrozziere ed elettrauto decente fu un’impresa che mi portò a numerosi errori, soldi buttati dalla finestra e altre mazzate sul morale che non sto a spiegare. 
Diciamo che alla fine della fiera riuscii ad avere un’auto particolare, personalizzata, truccata (aveva più del doppio dei cavalli originali) ma un pelo strana.
Non mi faccio problemi, la gente crede che sia pazzo da mò, per cui dire pure questa non credo nuocerà alla mia reputazione. A far breve la storia lunga potrei definire il mio rapporto con quell’auto come quello di Arnie Cunningham e Christine nell’omonimo libro di King. Ovviamente non era così evidente e la macchina non aveva vita propria, tuttavia notai col tempo una serie di stranezze e curiosità che l’automezzo aveva mano a mano che lo guidavo. A seconda di come andava la mia vita infatti era guasto o bizzoso o un gioiello che annientava auto ben più nuove. Provai a parlare di questa cosa con qualcuno ma, alla fine, fui sempre guardato come un matto. 
Me ne feci una ragione e continuai a guidarlo tranquillamente, fino a che, qualche anno fa, non maturai la sofferta decisione di venderlo. 
Un’auto d’epoca, per poco che costi il mantenerla (bollo e assicurazione irrisori, per dire), ha bisogno di una serie di attenzioni particolari, un po’ come una donna viziata. E se non sei in grado di dargliele addio, la macchina sarà guasta sempre più spesso. Per dirne una, mi ricordo che dovetti cambiare la pompa freno perché, a furia di non usarla, si era rovinata. 
Iniziai a spargere la voce, mettere annunci e altro ma non arrivò mai nessuno di interessato a parte qualche persona che puntualmente e inspiegabilmente si tirava indietro. Una volta venne a vederla una coppia che scomparì, mesi dopo seppi che lui, che era l’interessato, era morto in un incidente stradale. 
L’unica persona che non subiva danni, in tutta questa storia, ero io. 
L’auto con me aveva un potere ipnotico, ma era come una specie di entità che mi proteggeva. Mai rimasto a piedi, mai avuto rogne, incidenti, casini. Dovunque mi trovassi e in qualunque condizione potevo stare sicuro che sarei arrivato a casa. 
Mi rendo conto solo ora scrivendo che per quanto fossi deciso non ero convinto del tutto di lasciarla andare, e allora rimaneva con me. Non so come altrimenti spiegarvelo, era un rapporto strano, una specie di sindrome di Stoccolma tra uomo e auto. Mi verrebbe da dire lei, alla fine, perché dentro di me e con quello che ho visto posso assicurarvi che l’auto aveva qualcosa. 
Comunque, alla fine, lo scorso anno riuscii a venderla. Chiedevo un prezzo ragionevole per tutti i lavori fatti e lo stato dell’auto in sè, per cui fummo d’accordo e la proprietaria nuova si portò via l’auto.
Ogni tanto, con un pelo di malinconia, ripenso a quanto passato con lei e mi tornano alla mente alcuni ricordi piacevoli, un po’ come una vecchia storia con una ex. Ma, ad essere onesto, subito dopo ripenso a una frase dettami da un’amica particolare poco tempo prima che vendessi l’auto:
‘Credimi, appena venderai l’auto le cose ti andranno meglio. Le cose, specie così vecchie, hanno una vita propria.’
Non sono mai riuscito a darle torto, semplicemente perché non ha torto, almeno secondo la mia esperienza. 

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