Esco finalmente dal locale dopo aver bevuto un’altra vodka e lascio che la brezza di ottobre mi accarezzi la faccia. La sensazione di stordimento dell’alcool passa subito quando ti arriva l’aria fresca in faccia.
Con calma mi incammino verso casa cercando di non pensare a nulla; speranza vana, conoscendomi.
Il telefono fortunatamente non squilla da un po’, dandomi almeno apparentemente quella pace che vado cercando.
Mi sento disperato, e a ben rifletterci mi rendo conto di essere sempre stato così e mi ritrovo così anche di qui. Quindi, in definitiva, anche avendo cambiato vita la mia desolazione interiore rimane. Quindi non era insoddisfazione per le scelte intraprese, sono proprio io che non riesco mai a essere contento di un cazzo.
Beh, almeno sono arrivato a trovare il problema. L’unica cosa credo rimanga lavorare sul mio cervello bacato per vedere di rimettermi a posto.
D’un tratto alzo gli occhi: dove cazzo sono finito? Ho continuato a camminare, mi sono perso nei meandri di vie e viette e sono in una zona di palazzine credo degli anni ’60 di tipico stile sovietico. Mi avvicino per cercare di capire in che via sono: Vicolo Polic.
Ecco, come torno a casa? Dove cazzo vado?
Ma aspetta….ho voglia di tornare a casa?
Un po’ sì e un po’ no. Sono stanco, deluso, scazzato. Esausto.
Mi siedo sul marciapiedi e aspetto di chiarirmi le idee, sempre che riesca a decidere cosa fare.
Rimango lì per un tempo indefinito; potrebbero essere ore, minuti, attimi ma non mi viene in mente nulla.
Assolutamente nulla.
Vorrei guardare l’ora ma alla fine decido di non farlo, mi alzo e inizio a incamminarmi sperando di trovare la via di casa; non potevo essere più in errore, visto che mano a mano che cammino mi addentro in un quartiere mai visto e con nomi di vie che non mi dicono un cazzo.
Passo per via Jovanović, poi Nenadović, giro in vicolo Milovanović e dopo un lungo peregrinare mi ritrovo in piazza Petrović-Njegoš. Provo a tornare indietro ma non faccio altro che peggiorare la situazione, non ricordando le svolte che ho fatto mi perdo ulteriormente e capito in una zona esattamente uguale ma coi nomi di vie diversi.
Adesso sono stanco, assonnato, esausto e disperato e non so cosa fare.
Posso chiamare Daniela, posso chiamare Angela, posso chiamare qualche amico o compagno di band; mi faccio venire a prendere e mi anniento a letto fino a domani, poi vedo il da farsi. prendo il cellulare e CHE IDIOTA. Posso vedere dove cazzo sono con il navigatore, ovviamente. Apro e guardo: non c’è campo. Funziona a malapena la linea telefonica, ma la linea dati è a terra: insomma, era destino che non tornassi a casa solo e che mi toccasse chiamare qualcuno anche se non so bene chi.
Prendo una moneta dalla tasca e la lancio aspettando il risultato: croce.
Croce vuol dire chiamare Daniela, ma avevo già deciso di chiamare Angela, forse perché so che non mi farà granché storie su come sono finito lì e come mi sento.
Seleziono il numero, il telefono squilla.
‘TU!’
Mi faccio piccolo
‘già’
‘saranno due mesi che non ti fai vivo extra lavoro…a quest’ora poi’
‘già’
‘sai solo dire già?’
‘no, è che…’
‘è che mi hai chiamato a mezzanotte per una delle tue paturnie del cazzo e hai bisogno di me. Ma guarda che per queste cose ci son le mogli, non io’
La solita Angela
‘non ci sono anche gli amici per questo?’
‘con gli amici ci scopi?’
‘no, ma…’
‘ecco, ti sei risposto da solo’
Sono nel pallone. Forse, malgrado la professionalità, aspettava di beccarmi una sera per potermi sputare in faccia tutto il veleno che aveva accumulato.
‘scusa, fa conto che non ci siamo sentiti’
‘aspetta, stronzo. Questo era quello che ti dovevo, e lo sai benissimo. Ora dimmi cosa c’è’
‘una delle mie paturnie del cazzo’
Dall’altra parte sento Angela che ride
‘quanto sei prevedibile…quindi, cosa dovrei fare?’
‘mettiamola così: sono in una zona della città che non conosco, da solo, vorrei tornare a casa e non so come fare. E ho l’umore sotto i piedi’
‘il fatto che ti sia perso è una novità’ dice ‘almeno però non è venerdì sera’ continua sarcastica.
‘eh’
‘scusa’ si sento uno sforzo e un mugolio ‘mi stavo infilando i pantaloni. Dove sei?’
‘ah, saperlo, ho passato vie con nomi assurdi, le case sono tutti parallelepipedi e ora sono seduto su una panchina in una piazza con un’aiuola nel mezzo e dei parchetti per bimbi di cemento’
‘facile. Senti cretino, prima che perda la pazienza…riesci ad alzare il culo e dirmi in che piazza sei? Ci leggi la targa?’
‘aspetta, mi incammino…ecco…fammi vedere…Piazza Elena Vervodić’
‘scusa?’
‘ho detto Vervodić, Piazza Elena Vervodić’
‘MA COME CAZZO CI SEI FINITO A PIEDI FINO A LI’????’
‘camminando, ecco come. Vienimi a prendere, dai’
‘uffa. Ma perché mi devo sempre attaccare ai tuoi casini? Sbrigatela da solo, cazzo!’
CLIC
Mi ha attaccato il telefono. Credo sia la prima volta che lo fa, fino ad oggi bene o male mi aveva sopportato e assecondato. Si vede che si è rotta il cazzo. Inizio a camminare nuovamente, mi perdo sempre più per le vie girando a destra e sinistra e sperando, in qualche modo, di capitare prima o poi in una zona conosciuta dove possa raccapezzarmi e finalmente tornare a casa.
Ho le gambe a pezzi e sono stanchissimo, e il fatto che Angela mi abbia riattaccato il telefono mi ha aumentato la depressione. Trovo un altro parchetto, mi siedo stanco sulla prima panchina e guardo l’ora: sono praticamente le due e ancora non c’è la linea dati.
Non ho nemmeno voglia di bestemmiare, vorrei solo essere a casa a dormire, se avessi i soldi chiamerei un taxi ma la sala prove l’ho pagate con la moneta, le ultime due lire che avevo in tasca.
Improvvisamente però mi sovviene che forse posso farmi accompagnare a un bancomat e poi a casa: già, perché non ci ho pensato prima?
Provo a fare due numeri che conosco per chiamare i taxi ma ahimé qui non funzionano, nessun segnale.
Improvvisamente mi squilla il telefono: Angela.
‘beh?’
‘cosa?’
‘sono in Piazza Vervodić, dove cazzo sei?’
Ah, non lo so. Mi hai attaccato il telefono in faccia, mi sono messo a camminare, ora sono in un’altra piazza e non ho idea di dove sia’
‘dimmi in che cazzo di piazza sei. Alzati e cerca la targa, o almeno dimmi se c’è qualche monumento o segno distintivo’
‘beh, è enorme. Aspetta, c’è una targa qui vicino: dice Piazza Vukotic’
‘hai Detto Vukotic?’
‘esatto’
‘certo che ne fai di strada a piedi! Non muoverti più, stai fermo lì che ti raggiungo’
E riattacca.
Mi torno a sedere sulla panchina e aspetto per non so quanto tempo mentre la mia mente continua a macchinare pensieri negativi. Tento di non pensarci, di razionalizzare, ma non ci riesco, rimango depresso.
Continuo a fissare per terra e non mi accorgo che nel frattempo non solo l’auto è arrivata, ma Angela è pure scesa ed è di fronte a me, in piedi.
‘beh? Cos’è sta faccia da funerale?’
Jeans e canottiera, come quelle volte che voleva scoparmi. Viso acqua e sapone, capelli raccolti a cipolla, figa come sempre.
‘ma nulla, è che stasera ho sbroccato, ho avuto una mezza allucinazione e ora sto di merda’
‘e chiami me’
‘già, ho chiamato te’
‘di un po’, non è che poi Daniela è gelosa? Insomma, siamo abbastanza intimi’
‘non credo. E sai che negli ultimi mesi non le ho dato modo di esserlo’
‘questo è vero. Sta di fatto che sei un….come si dice, aspetta….cretino?’
‘sì, si dice proprio così. Posso sapere perché?’
‘beh, ho la metà dei tuoi anni ma con quello che mi hai detto ci convivo da he sono nata. Quindi che vuoi farci? Accetta la cosa e vai avanti, no?’
‘dovrei’
‘no, non dovresti. DEVI. Non hai alternative. Hai già fatto un bel po’ di cazzate, e ti sei reso conto che il problema era dentro di te, non fuori. Me lo avevi pure detto un giorno che eri in vena di confidenze’
‘e quindi che faccio?’
‘te ne fotti e basta. Hai avuto un’allucinazione? Pace. Sei felice per il resto? Sei soddisfatto? Basta, goditela. Torna da Daniela, abbracciala, scopala. Chiedile scusa, sfogati, parlale, ma fai qualcosa. Io fossi in lei ti avrei già scaricato da tempo’
La fisso, le sorrido.
‘hai una sigaretta?’
‘cretino, sono uscita di fretta e senza. E un mese fa mi hai detto di darti una sberla se mi chiedevi da fumare’
‘Angela, ma com’è che hai sempre ragione?’
‘beh, con te è facile, l’adulta dei due sono io’
Touché.
‘dai, monta in auto che è tardi, ho sonno, domani lavoriamo e devo attraversare la città per andare a casa’
‘grazie’
‘siamo amici, mi hai detto. No? Almeno quello’
D’istinto la abbraccio non senza dello stupore da parte sua e mi stacco dopo qualche secondo.
‘sì, siamo decisamente amici’
Dopo circa venti minuti, e non senza stupore da parte mia, siamo a casa.
Daniela mi guarda e noto che ha il trucco colato ed è palesemente nervosa, non dice nulla e mi guarda impotente andare al piano di sopra. Sento, intanto che salgo, che parlotta con Angela, ma non riesco né ho voglia di sentire cosa stanno dicendo.
Mi faccio la doccia, mi ficco a letto e chiuso. Dopo dieci minuti circa sento Daniela che viene a letto, sento che mi guarda, controlla e poi si mette a dormire.
L’ho sfangata, non ho voglia di altre questioni.
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