lunedì 16 dicembre 2019

TI FACCIO MALE

(Ascolto consigliato: Khanate - Skin Coat)

Certo il periodo non era granché, diciamo che ero nel mese dove, da maschio, ‘avevo le mie cose’, ovvero una fase di down, depressione e aggressività tipica dello sbalzo ormonale premestruale delle donne, per cui ero mal disposto a qualunque cosa, figuriamoci le critiche. 
Quella sera mi forzai, uscii e finii nel solito locale perché, da abitudinario, non volevo cambiare e, complice il mio stato mentale, non avevo voglia di rotture di cazzo. Mi ritrovai al tavolo con i soliti di sempre ma rimasi a bere in un angolo praticamente solo tutta sera, parlando poco rispetto ai miei standard. 
Rimasi alticcio tutta sera e, appena vedevo che tornavo sobrio, ordinavo altro per continuare a essere obnubilato ascoltando in maniera molto superficiale gli altri mentre parlavano.
Ero assente, svogliato, mi chiedevo chi me lo avesse fatto fare di uscire e mettermi a parlare di cose di cui non mi fregava un cazzo quando potevo rimanere a casa a scrivere o ad ascoltare ossessivamente la stessa canzone per ore come spesso succedeva ultimamente.
Mi alzai automaticamente per andare al cesso, andai a pisciare e feci per tornare quando vidi che il mio posto era occupato. 
Cazzo.
Proprio lui.
Questo stronzo.
Lo guardai, non volevo incontrarlo quella sera, mi stava sul cazzo, col suo sorriso finto e la voglia di farsi accettare da tutti. Lo sentii parlare, era reale come una moneta da un euro coniata in Uganda, presuntuoso e già alterato.
La regola d’oro è che non metti due persone alterate allo stesso tavolo, specie se si detestano e specie se uno dei due è depresso e può diventare aggressivo e l’altro uno stronzo egomaniaco.
Tornai al bancone senza dire un cazzo e mi sedetti assieme a un amico a parlare di stronzate, o meglio, ad ascoltarle perché non ero dell’umore. Rispondevo brevemente sforzandomi. 
Improvvisamente, finita l’ennesima birra, mi resi conto che ero abbastanza lontano dagli altri per andarmene agevolmente senza menate per cui salutai, pagai ed uscii.
Appena fuori il freddo mi intirizzì quel poco da farmi svegliare dall’intorpidimento e darmi la possibilità di tornare a casa abbastanza sano, peccato che nel frattempo uno degli amici mi vide fuori e venne a sapere perché me ne stessi andando via; gli spiegai che non era cosa, che non avevo voglia ma mi trattenni del parlare del loro amico, sapevo già che se lo avessi fatto sarebbe finita male.
Lui uscì. 
Mi guardò, e mi mise le mani addosso chiedendomi se avevo problemi, di tirarmi su e non so cosa altro. 
Vidi rosso.
Gli dissi di non toccarmi, lui mi incalzò.
(Say it, say - you'll give me your skin...skin...skin)
Gli intimai di fermarsi ma non lo fece, nel frattempo sentii la rabbia montarmi
(Like...wet...pile... Peel...now...feel)
Puntò il dito, stavolta per l’ultima volta. Gli presi quel cazzo di dito, glielo girai e, ricordandomi qualche film, gli puntai la mano sul pomo d’adamo intimandogli di lasciarmi in pace. 
Ovviamente appena mollai tutto iniziò a offendere.
Lo buttai per terra e lì presero forma nella mia mente le idee peggiori che avevo covato fino allora, ero lucido mentre lo picchiavo, sapevo dove colpire e cosa fare. E volevo fargli male.
Arrivarono un paio di amici a tirarmi via da lui che iniziò a rotolarsi per terra dal dolore, mi rialzai, li guardai e tornai dentro a prendermi una birra. Non tremavo, non avevo rimorso né fastidio per il semplice motivo che era tempo che desideravo farlo e finalmente gli avevo dato quanto meritava e anzi, mi avessero lasciato fare avrei fatto di peggio.
Da allora non lo vidi più, semplicemente evitai di uscire sapendo che lo avrei incrociato.
 (I wear, a human shield. Through the elements, stay warm/I put you on, crawl inside. Human shield, skin fold back, crawl inside)

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