giovedì 16 aprile 2020

MA & MA

Fissa la propria mano e non riesce a staccare lo sguardo. Addosso ha l’accappatoio e le ciabatte di spugna, i piedi ancora umidi, i capelli appena lavati sparsi sulle spalle, disorganizzati come se appartenessero ad un’altra persona. Fuori e’ buio, e probabilmente freddo, il palazzo attorno e’ pieno di luci, ma qualcuna si sta gia’ spegnendo. Quella del quarto piano, a destra della sua, ad esempio. Ci abita una coppia di pensionati, forse gli unici rimasti sempre li’ da quando quella casa e’ stata costruita. Sposati da piu’ di quarant’anni, benvoluti, non si lamentano se gli studenti universitariche vivono nell’appartamento di fianco fanno casino invitando gli amici in una sera in mezzo alla settimana. Se tutto va bene, ad una certa ora, sempre la stessa, la coppia con alle spalle tanti anni insieme spegne le luci e va a dormire. E’ il segno che anche questa giornata sta terminando, un faro alla rovescia, il segno che ci si puo’ riposare, l’idea di una routine tranquilla, altrui, che va avanti e indirettamente coinvolge anche te.
Fissa la propria mano, che stringe il cellulare, e non sa davvero perche’. Infine un leggero brivido la fa scuotere e la convince a terminare quello che ha iniziato. Torna in bagno, dove ha lasciato i vestiti di ricambio, finisce di asciugarsi cercando al tempo stesso di mettere ordine nel groviglio dei capelli (‘compro il balsamo domani, perche’ mi scordo sempre?’, pensa), rabbrividisce ancora un po’ mentre entra in un paio di normali pantaloni rosso scuro e si infila una felpa bianca sopra una canottiera dello stesso colore. La normalita’ si vede dalle piccole cose, come i vestiti puliti e ben conosciuti dopo che ci si e’ fatti la doccia in casa propria. Semplice, confortante normalita’, ‘altro che prendere un appuntamento con uno sconosciuto, e chiedergli di telefonarmi domani’. Ma ormai, quello che e’ fatto e’ fatto. Sta finendo di asciugarsi i capelli quando il rumore della chiave che gira nella serratura della porta di ingresso la distrae. Ecco un altro segno di normalita’. Preceduta da un borsone bianco e nero dell’Adidas, giacca multicolore di gore-tex e berretto a visiera in testa, entra in casa una ragazza.
‘Ciao Ma’, dice la nuova venuta togliendosi il berretto.
‘Ciao Ma’, risponde l’altra, come se fosse la sua eco.
‘Che giornata spa-ven-to-sa’, riprende la prima, posando il borsone vicino all’ingresso, ‘ho l’impressione che le mamme delle ragazzine della ritmica ce l’abbiano con me e si mettano d’accordo per iniziare a raccontarmi dei loro drammi esistenziali proprio nei giorni in cui c’e’ piu’ traffico per strada, cosi’ anche oggi ho rischiato di fare tardi a step. Ma dico, ho la faccia che ispira qualcosa? Sembro tanto quella che ascolta i problemi degli altri? Ma che vadano da uno strizzacervelli, visto che i soldi li hanno...beh, e adesso perche’ stai ridendo? Come osi ridere delle mie disgrazie sul lavoro, tu, misera universitaria sulla via della disoccupazione?, la prende palesemente in giro. L’altra la guarda e ride. Beata normalita’: gli sfoghi della sua coinquilina di ritorno dal suo lavoro come insegnante in tre diverse palestre della citta’, a combattere con bambine urlanti, nastri e clavette da una parte, e arzille cinquantenni che cercano di smaltire un po’ del grasso della menopausa saltellando a destra e sinistra, completamente fuori tempo. Gli stessi sfoghi, le stesse risate tutti i giorni. Poi torna seria.
‘A che livello sei di devastazione cerebrale?’, le chiede.
‘Uhm, normale...una bella bistecca e mi rimetto in carreggiata’, risponde distrattamente mentre inizia a svuotare il contenuto del borsone nel cesto della roba sporca, ‘perche’?’
‘Martina...ti devo parlare’.
La ragazza si ferma. C’e’ un tacito accordo fra le due, per cui si chiamano col loro nome per intero solo se c’e’ qualcosa di molto importante da dirsi. Altrimenti restano Ma e Ma, come la parte iniziale dei loro nomi. E questo e’ il momento.
‘Che cos’e’ successo?’
‘Qualcosa di strano’, e le trema quasi la voce. Martina, che delle due non e’ solo la piu’ grande come eta’ ma la piu’ razionale, quella in grado di ragionare di fronte a tutto, appoggia il borsone sul pavimento, si infila le mani nelle tasche e guarda la sua interlocutrice. Che ha la faccia cupa.
‘Strano bello o strano brutto?’
‘E’ questo il problema...non lo so neanch’io’.
‘Hai cenato?’
‘Si’...’
‘Manuela, non dirmi balle. Adesso vieni in cucina con me, mangi qualunque cosa, non mi interessa, i tuoi disgustosi fiocchi di latte o meta’ della mia bistecca, e mi racconti. Ma vieni di la’ e mangi, chiaro?’
‘OK’, risponde Manuela.
Martina sa due cose sulla ragazza con cui divide l’appartamento. Una e’ che quando e’ agitata, nervosa, sotto esame, le si paralizza lo stomaco e va avanti a the caldo. L’altra e’ che da questi momenti di ansia sa uscire da sola, quindi non bisogna pressarla troppo perche’ si comporti come un essere umano normale. Accende lo stereo della cucina, mette il CD con il volume 1 del live di De Andre’ con la PFM e comincia a cucinare. Le due ragazze passano cosi’ un po’ di tempo in silenzio; Martina frena la curiosita’ che la spingerebbe a chiederle cosa mai l’abbia turbata cosi’, dato che sa che Manuela ha passato la giornata in casa, e nel frattempo inizia a ripassare mentalmente gli impegni per l’indomani. Manuela traffica con il frigorifero e pensa a Glassmoon. Semplicemente non capisce, non solo perche’ lui l’abbia richiamata a poche ore di distanza, ma anche altre cose a dir poco strane. Come quella del numero di telefono, che e’ il suo ma non e’ il suo. Poi si lascia trasportare dalla musica, che ha sempre il suo fascino immutato nonostante gli anni, sorride agli occhi scuri di Martina, lascia che finisca  “Giugno ‘73”, il suo pezzo preferito, e comincia a raccontare. 
‘Hai presente quando dici: sembrava una giornata come tante altre, e poi improvvisamente succede qualcosa che ti cambia tutto?’, esordisce.
‘Certo...mi passi l’aceto?’
‘Bene, e’ quello che mi e’ successo oggi’. Martina si fa piu’ attenta, mentre Manuela le racconta del suo temporaneo tuffo nei ricordi del liceo (‘e fin qui, niente di strano’, pensa, con un po’ di indulgenza), della telefonata di questo perfetto sconosciuto che crede di parlare con un’altra, di come Manuela lo abbia “convinto” a risentirsi nei prossimi giorni...
‘...e poi, dieci minuti prima che arrivassi tu, mentre ero sotto la doccia, ho sentito suonare di nuovo il cellulare. Ed era di nuovo lui. Non ho fatto in tempo a rispondere, cosi’ l’ho richiamato’, conclude.
‘Perche’?’
‘Che vuoi dire?’
‘Perche’ l’hai richiamato?’
‘Mah, non lo so...mi e’ venuto spontaneo. Fatto sta che lui mi ha chiesto se ci potevamo vedere per parlare delle nostre due Tiziana’.
‘E tu naturalmente gli hai detto di no’.
‘E tu come fai a saperlo?’
‘Perche’ altrimenti non saresti qui a raccontarmi tutto, nervosa peggio della mamma di Dumbo quando le prendono in giro il figlio, mio piccolo genio! All’universita’ non vi insegnano proprio niente, vedo’, dice, minacciandola cpn la forchetta.
‘Si’, sono fusa, hai ragione...pero’ gli ho detto di telefonarmi domani, e questa volta ci troviamo di persona’.
‘Fammi vedere se ho capito bene’, riprende Martina, ‘tu hai cominciato a parlare con un perfetto sconosciuto che ha sbagliato numero, e che cercava una che ha lo stesso nome di una tua amica che non vedi da almeno quattro anni; gli chiedi di richiamarti, lui lo fa e tu gli dici che non hai tempo, pero’ poi gli proponi di sentirvi per telefono domani. Giusto?’
‘Tutto giusto, direi’, riprende Manuela.
‘Questo conferma la mia teoria su di te’.
‘No, ancora con la storia del vulcano addormentato?’ Manuela comincia a ridere e fa gesti fintamente drammatici all’indirizzo di Martina. ‘Ti prego, dimmi che NON ricomincerai con la storia che sei catanese, e che io sono come l’Etna, che dormo, e che se mi sveglio sono guai’, ma lo dice ridendo. In fondo quell’idea le piace, anchese non la condivide per niente.
‘Ah, cara, io sono convinta di questo e non mi smuovi. Lo sai come sono fatta. E ti diro’ di piu’: tu domani accetterai il suo invito, uscirai con lui, parlerete anche di Tizian, certamente. Ma vedrai che questo sara’ l’inizio del tuo risveglio’.
‘Secondo me stai correndo troppo. Come solito, del resto’.
‘D’accordo. Vedremo. Se tra due settimane non vi sentite piu’ vorra’ dire che mi sono sbagliata. Ma se tra due settimane vi sentite ancora e vi siete visti almeno un’altra volta, tu vieni una sera in discoteca con me’.
‘Tu si’ che li conosci i miei punti deboli...ma l’idea mi pare cosi’ assurda che mi va bene. Siamo d’accordo, vediamo cosa e’ successo fra quindici giorni. E adesso mollala li’, che devo tornare a studiare’.
‘Si’, vai pure, mio povero topo da biblioteca; mi sacrifichero’ e ti lavero’ io i piatti stasera. Piuttosto, quando vai all’appuntamento, fammi un favore: non andarci con quell’ammasso di rottami che tu ti ostini a chiamare motorino. Faresti una pessima impressione’.
‘Ehi, il Bolide non si tocca. Non mi ha mai lasciata a piedi e di sicuro non me lo rubano. E posso andare dove voglio’.
‘Si’, come tra casa e l’universita’ passando per la biblioteca e il negozio di CD...fila a studiare piuttosto’, conclude Martina mentre comincia a sparecchiare e lo stereo ha ricominciato a trasmettere il disco di De Andre’ dall’inizio.
Manuela si alza, si toglie qualche briciola dalla felpa e va in camera. Il nodo allo stomaco si e’ sciolto, ed e’ bastato parlare con Martina. Loro sono Ma&Ma, quando vogliono prendersi in giro, una specie di societa’ per azioni formata da due soli soci, che non potrebbero mai essere piu’ diversi. E chissa’ come, la societa’ funziona benissimo.
Le ore successive scorrono veloci, come quando guardi un film muto e ti metti a ridere perche’ le scene sono girate a velocita’ doppia. Ha ritrovato il ritmo interrotto qualche ora prima, va a dormire dopo mezzanotte, non prima di avere finito un capitolo sulle teorie di Marcuse che si tirava dietro da sabato. E anche la mattina a lezione, l’indomani, passa rapida. Non vede l’ora di rimettere in moto la Vespa bianca e di tornare a casa, curiosamente in attesa. E si sa che a volte le attese sono dei tormenti, perche’ sembra che il tempo non passi mai. Adesso invece scivola via dalle mani velocemente. E tra parentesi si ricorda anche di comprare il balsamo. Oltre a scegliere cosa portare con se’ di Tiziana nel momento dell’incontro con Glassmoon. Tralascia le foto di classe e ne prende altre due dove c’e’ lei da sola, e poi sceglie un paio di bigliettini scritti da lei; cose abbastanza neutre, che parlano di scuola. ‘Piu’ avanti, magari...ma piu’ avanti cosa?’ non avra’ ragione Martina, per caso?
Il telefono comincia a suonare proprio mentre sta per infilare due fette di pane nel tostapane per fare un minimo di merenda e una pausa. Prende in mano, controlla, legge, poi risponde.
‘Pronto?’
‘Ehm, ciao’.
‘Oh, ciao, come va?’
‘Al solito, e tu?’
‘Bene, grazie’.
‘Senti...come va lo studio?’
‘Oh, sono sempre indietro, ma un po’ piu’ avanti rispetto a ieri...non so se mi spiego, volevo dire...’, e un po’ perde il filo del discorso, poi si riprende, ‘insomma, se per quel caffe’, o quello che e’, come preferisci. Voglio dire, io non bevo molto caffe’, ma solo ogni tanto, pero’...’ Glassmoon ha di nuovo la voce divertita quando risponde.
‘Ehi, calma, respira ogni tanto. Devo dedurre che sei libera, o sbaglio?’
‘Ah, no, non sbagli. Preferisci stasera? Domani?’
‘No, stasera va bene. Conosci la birreria all’inizio di via Verdi?’
‘La conosco, ma non ci sono mai stata. Traffico permettendo posso essere li’ fra circa quaranta minuti, puo’ andare bene?’
‘Certo, ma come ti riconosco?’
‘Beh, diciamo che il mio mezzo di trasporto si riconosce! E poi quanta gente vuoi che ci sia in giro oggi? Ci incontreremo di sicuro, vedrai’.
‘Va bene, a dopo allora. Ciao’, e chiude la comunicazione.
Come sia stato possibile che i due conoscessero quella birreria senza essersi mai detti il nome della citta’ in cui abitano resta da capire. Manuela ci pensa un attimo mentre mette in moto il Bolide, poi alza le spalle e parte.

Capitolo di Anna Minguzzi

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