sabato 6 giugno 2020

UN LUOGO MISTERIOSO

La strada che separa casa di Manuela dal luogo dell’incontro non è molta, sono circa dieci minuti d’orologio prendendosela comoda, ma lei è uscita prima un po’ per fare le cose con calma e un po’ perché rimanere in casa ad attendere è una cosa che la innervosisce non poco. La strada è liscia e regolare ma la Vespa stasera sembra non abbia la minima intenzione di funzionare come si deve: carbura male, frena lungo, strappa…Manuela pensa che prima o poi si dovrà decidere o a cambiare motorino o a chiamare quel suo amico meccanico che più di una volta si è offerto di mettere le mani gratuitamente sulla Vespa per ‘evitare che un giorno vengano a raccogliere i tuoi pezzi col bidone aspiratutto’; quella frase le è rimasta nella memoria soprattutto perché gli è stata detta il giorno dell’ennesimo incidente dove fortunatamente lei non si fece nulla, ma rischiò di brutto la pelle passando in scivolata sotto un’autocisterna. Inutile dire che lei prese il suo bolide e se ne tornò a casa tranquilla per poi rintanarsi in casa una settimana dolorante di tutti i gibolli che l’incidente le aveva procurato.
‘sarà meglio che mi sbrighi, altrimenti qui arrivo in cronico ritardo come sempre…vabbè che è ancora presto…’guarda l’orologio e vede che manca ancora mezz’ora abbondante; inizia così a girovagare per il quartiere prendendo una serie di strade che la incuriosiscono da sempre ma che per un motivo o per l’altro ha sempre evitato. La vespa adesso sembra vada meglio del previsto e la cosa la stupisce, solo pochi minuti prima aveva fatto molte storie per avviarsi e girare bene…si ritrova ad imboccare una strada che va fuori città, inizia ad accelerare e non sa perché, percorre una decina di chilometri prima di fermarsi di botto sul ciglio della strada spaventata come se avesse visto la morte. Inizia a fissare un gruppo di casolari distanti qualche chilometro in linea d’aria sinistramente e fiocamente illuminati dai lampioni presenti all’esterno dei casolari stessi e sente dentro di se un’angoscia e una strana sensazione di dolore che le risultano inspiegabili. ‘mi sa che sto diventando matta…eppure…è come se li dentro ci fosse qualcosa di brutto o qualcuno che sta male’. Guarda l’orologio e fa un rapido calcolo mentale della strada che ha percorso prima di sbottare prima nelle solite imprecazioni e poi nel suo classico autocompiacimento: ‘cristo, sono lontanissima e mancano solo dieci minuti…è meglio che mi sbrighi, tanto lo so già che arriverò in ritardo. Eh, beh, dai, tanto io sono ritardataria cronica, lui non mi ha mai visto…quindi è meglio si abitui da subito ai miei difetti…oddio…sto parlando come una quindicenne che deve incontrare il principe azzurro…sarà meglio mi dia una calmata e mi sbrighi’. Gira la vespa in direzione della città e parte a tutta birra per il luogo dell’appuntamento, non mancando però di dare un ultima occhiata dal retrovisore al gruppo di casolari che l’hanno turbata così tanto. 
Nemmeno un quarto d’ora dopo è davanti alla birreria ‘Drago Verdi’, un posto tutto sommato normale se non fosse che il proprietario, un trentenne alto due metri dai capelli rossi rasati e gli occhi di un azzurro inquietante, coltiva uno strano hobby: collezionare fontanelle da esterni prese ovunque in maniera legale e ‘un po’ meno legale’ come usa dire lui…praticamente le pareti della birreria sono occupate da una serie di fontanelle delle fogge e colori più disparati, tutte in ottimo stato di conservazione e teoricamente funzionanti. Persino il bancone è a tema, infatti le spine da dove esce la birra sono state ricavate (complice una spesa non indifferente) dai draghi di ottone presenti in tutte le fontane che si trovano negli angoli più disparati della città di Milano. Il nome della birreria infatti è l’unione della via dov’è ubicato il locale, Via Verdi appunto, e dal modo in cui una suo amico di Milano chiamava sempre quelle benedette fontanelle agli angoli delle strade, ossia ‘Il bar del Drago Verde’, in omaggio al drago da cui sgorga l’acqua e dal colore delle fontanelle stesse, il verde.
Parcheggia il bolide lasciandolo appoggiato ad un palo senza nemmeno legarlo, tanta è la sua sicurezza che non lo toccherà nessuno, si toglie il casco ed entra nel locale spingendo la pesante porta d’ingresso. 
‘oh, buonasera Mela!’ 
‘ciao!, come va? Serata magra stasera eh Rosso?’
‘ti ho detto mille volte di non chiamarmi rosso che mi fa incazzare…e tu sempre…va che non ti sposo più!’ il solito scambio di battute tra Manuela e il padrone del bar si interrompe alla successiva domanda di quest’ultimo: ’gioia, è martedì, come mai da queste parti? Di solito ti si vede per il week end!’
‘no…nulla…aspetto una…un amico che non vedo da un po’.
Benché il rosso si sia incuriosito alla sua risposta e successivo silenzio, cambia totalmente registro e porta la conversazione sul professionale. 
‘cosa ti porto, il solito succo ACE o stasera ti dai alla gioia di una buona birra? Ho una nuova rossa arrivata ieri che è un sogno…dai, te la faccio provare’. Le spina una piccola di una birra rossa e leggermente frizzante e gliela porge appoggiandola sul bancone ma non prima di aver posato un sottobicchiere di cartone della John Martins per non bagnare il legno. 
Manuela si guarda intorno, fissa l’orologio, quasi non fa caso ne alla birra ne allo sguardo silenzioso ed incuriosito del padrone del locale…sta vivendo nel suo mondo fatto di labirinti cervellotici, dubbi esistenziali e domande che troveranno una risposta fra poco tempo. Come se si fosse svegliata d’improvviso, si guarda intorno, riaccende  i cinque sensi e spiaccica la prima frase che le passa per la testa: ‘minchia rosso, ma potresti cambiare questa nenia? Sono già depressa di mio’ e intanto, e non capisce nemmeno lei perché, quella struggente melodia che il rosso ha messo in sottofondo le fa balzare alla mente il casolare visto poco prima; naturalmente le parte un altro turbinio di pensieri sul perché e sul percome stia succedendo quello e proprio a lei…ma sono, e lo sa benissimo, domande senza risposta.
‘nenia? Giovani d’oggi. Vi va bene quello che trasmette Mtv a voi…musica di consumo. Ma qualche volta nutrire l’animo con i sentimenti no eh? Troppo difficile! Eh, Mela, mela…’
‘rosso, stai parlando proprio a quella giusta…fammi il piacere va! Lo sai che ascolto di tutto e ti ho consigliato la metà della roba che ascolti, dai…è che stasera sono già un po’ giù di mio e non ho voglia di deprimermi ulteriormente…dai, cambia…fammelo per piacere.’
‘tu sei la mia metà della mela, lo sai…come faccio a dirti di no?’ senza dire altro si gira, spegne il cd e inserisce una vecchia audiocassetta nell’ hi-fi: le note di ‘sweet child ‘o’ mine’ si diffondono per il locale cambiandone l’atmosfera tanto da indurre il rosso ad alzare l’intensità delle luci del locale. Nel frattempo la pesante porta d’ingresso viene varcata da un personaggio strano: alto circa due metri, vestito con dei jeans e una camicia slavata del medesimo tessuto con le maniche rimboccate fino ai gomiti, un berretto da baseball blu con scritte celesti e delle all star blu ai piedi; dal taschino sinistro rigonfio della camicia fa capolino una busta di tabacco blu elettrico e da quello destro il frontalino dell’autoradio senza però la custodia. Si siede al bancone a due sgabelli di distanza da Manuela ed ordina un caffè che il rosso gli porta subito. Manuela è incuriosita da quell’individuo e inizia a studiarne le mosse. È seduto sul trespolo in maniera composta, tiene lo sguardo basso sulla tazzina, si toglie il cappello che fino a poco prima nascondeva una capigliatura castana completamente arruffata. Prende con due dita la bustina dello zucchero, la scuote, ne strappa un lembo e versa il contenuto nel caffè in maniera decisa; lo mescola e lo beve d’un fiato. Si ferma ad osservare la bustina dello zucchero leggendone la massima citata: ‘non c’è che un solo modo di serbarsi sempre fedeli alle stesse opinioni, rimanere tutta la vita fanciulli’ scritta da un certo Aristide Gabelli, nome a lui sconosciuto. La frase, almeno in quel momento della sua vita gli pare beffarda…sorride nervosamente, dopodiché estrae il telefonino e guarda l’orologio. È l’ora dell’appuntamento. Si guarda in giro, ma a parte due coppie sparse in tavoli lontani l’unica persona nel locale è la ragazza a fianco a lui che sta sorseggiando la birra rossa. Si ferma per qualche secondo, la osserva, pensa che non può essere lei, e ripone il cellulare in tasca. Si rolla una sigaretta, la accende, da un paio di tiri nervosamente tutto sotto la stretta sorveglianza di Manuela che oltre che essere incuriosita da quello strano tipo da lei catalogato ‘un classico cliente da martedì sera’ è anche agitata perché per una volta che arriva in orario l’altra persona la fa aspettare.
Lui intanto ha estratto il cellulare e chiama. Nemmeno dieci secondi e il cellulare di Manuela inizia a squillare provocando la curiosità di entrambi. lei guarda il display: Glassmoon. D’istinto lo fissa senza rispondere, lui si accorge del  telefonino che sta squillando, si gira, la guarda e continuando a fissarla spegne il telefonino senza dirle nulla e senza staccare lo sguardo dagli occhi di Manuela.
‘scusa…ma…’
‘si, sono io…almeno credo…sempre che tu stia cercando una che accetta appuntamenti da chi sbaglia numero’
‘allora mi sa che cercavo proprio te…piacere, Giorgio.’
‘Manuela’
‘scusa?’
‘Manuela, piacere’ inutile dire che Giorgio è sbiancato in maniera irrevocabile e repentina al suono di quel nome.
‘ma ti chiami davvero così?’
‘eh? Certo, perché dovrei dirti un altro nome?’
‘no…nulla, una cosa mia…non farci caso…e così studi…che cosa di bello?’
.di bello nulla. Oggi ho finito un capitolo di un noioso…ma spero vorrai perdonarmi, non ho la minima voglia di parlare di quei mattoni che sto studiando adesso’.
‘ah, beh, ti capisco…è come se mi facessero il terzo grado sul mio lavoro…’
‘…appunto. Che lavoro fai?’ chiede ammiccandogli sorridente
‘sicura di volerlo sapere? Potrebbe non piacerti la risposta, potrebbe essere qualcosa di terribile, come che so…il contabile’.
‘uhm…un lavoro veramente terribile…meglio non chiedere allora…bevi qualcosa?’
‘dopo il caffè e la sigaretta che sto finendo prenderò un torbato…ma solo se hai tempo. Se devi scappare vado anche io’.
‘no, tranquillo, aspetterò che tu prenda il tuo torbato, soprattutto perché sono curiosa di sapere cosa sia!’.
Lui ride sommessamente poi da il via alle spiegazioni: ‘è semplicemente Whisky. si chiama torbato perché il malto lo fanno stagionare sotto la torba e il whisky acquista un sapore come di ‘affumicato…almeno, a me l’han sempre venduta così!’
‘ah…tutto qui?’
‘tutto qui.’ sta per domandarle di Tiziana ma ha paura di rovinare la poca confidenza guadagnata ritornando su binari molto più freddi. ‘tu vieni qui spesso?’
‘si, solitamente sono qui il venerdì e il sabato sera, tu?’
‘ci passo sempre davanti con Andrea, ma non ci ero mai entrato prima di stasera. Tieni presente anche che non è che io sia quel che si dice il classico animale da compagnia…ma scusa, tu al telefono non mi avevi detto che non sei mai venuta qui?’ Manuela arrossisce e abbassa lo sguardo, poi risponde ‘…a dire il vero non volevo passare per quella che frequenta abitualmente i locali…’ Manuela è sempre più rossa e imbarazzata per la bugia detta, Giorgio comprende la situazione e cerca di chiudere il discorso nella maniera meno imbarazzante e più repentina possibile. ‘capisco…non è il massimo in effetti parlare al telefono con gli sconosciuti…certo che è carino qui, pensavo fosse diverso da fuori…anche se a dire il vero non ho idea nemmeno di come siano gli altri locali del circondario’. Manuela si incuriosisce: vuole saperne di più.
‘scusa ma…se il venerdì e il sabato non vieni qui e non vai nel bar del paese…cosa fai?’
‘giro con Andrea per paesi, se capita mi butto in qualche sagra, altrimenti rimango a casa a scrivere o ad ascoltare musica’.
‘non ti scocci di stare sempre con quel tuo amico? Una compagnia ce l’avrai, no? Giorgio accenna un sorriso forzato, tira l’ultima boccata dalla sigaretta che poi spegne accuratamente nel portacenere e poi risponde.
‘no, non mi scoccio di girare con Andrea…anzi, mi meraviglio che lui non si sia ancora stancato di portarmi in giro visto anche come lo tratto…te pensa che adesso mi sta aspettando fuori zitto e buono’.
‘come fuori??? Ma fallo entrare no? perché sta fuori?’
‘eh, è una storia lunga…lascia perdere, è meglio’.
‘ho tempo, e sono curiosa. Dimmi pure’. Giorgio ordina un whisky liscio con un bicchiere d’acqua a parte, rimane in silenzio osservando il gestore del locale mentre prepara i due bicchieri e glieli porge. Con la mano sinistra prende entrambi i bicchieri, posa quello con l’acqua poco lontano dal bordo del bancone e beve un sorso di Whisky continuando a fissare Manuela in silenzio con uno sguardo a metà tra il triste e il sommesso…Manuela rompe il ghiaccio.
‘scusa, ma stai bene? Hai un viso un po’ tirato’
‘si, è tutto ok, ti ringrazio per l’interesse. È che ultimamente ho avuto un periodo un po’…pesante, tutto qui.’
‘crisi creativa?’
‘eh? Che?’
‘scusa, non fai lo scrittore? Hai detto che scrivi!’
‘si, ma per hobby…non scrivo di mestiere. Ho avuto qualche problema con…della gente. Tutto qui. mi sto riprendendo adesso, per quello mi vedi sbattuto, la ferita è ancora fresca’.
‘ah, mi spiace…hai voglia di parlarne?’ 
‘no, ti ringrazio. Preferisco non tediarti con le mie paranoie…diventerei noioso, e non mi pare il caso, tanto più che nemmeno ci conosciamo’. Al sentire l’ultima frase Manuela si incupisce. Si era quasi creata un’atmosfera familiare e di complicità tra lei e Giorgio, ma quella frase è stata un’auentica doccia fredda. Squilla il suo telefonino: è arrivato un sms. Si affretta a prendere l’aggeggio e a dare un’occhiata: è Ma. Le sta chiedendo se è tutto ok e se può non fare tardi perchè la lavatrice ha buttato fuori acqua e sta allagando la cucina. Manuela risponde con un semplice ‘ok’ e ripone il cellulare in borsa.
‘tutto ok?’
‘si, cioè no. La mia coinquilina ha allagato la casa…e mi sa che è meglio che vada…almeno le do una mano’.
‘si, hai ragione, non c’è problema’. Butta 5 euro sul bancone e fa cenno a Manuela di alzarsi e andare; la precede e apre la pesante porta come prescrive il galateo. Prima di salutarsi l’ultima sorpresa la fa il cielo: ha cominciato a piovere e Manuela non sa come tornare a casa. 
‘mannaggia, pure questa ci mancava…’
‘la pioggia? Perché? Non hai l’ombrello? Te lo presto se vuoi.’
‘no è che sono venuta in Vespa e tornare a casa con le strade così viscide non mi fido…ho le gomme che non sono messe bene…’
‘se ti fidi ti do un passaggio a casa, ho Andrea che mi aspetta in fondo a quella traversa’. Manuela ci pensa su un attimo, lo guarda bene in faccia: non le pare proprio il tipo che possa farle del male..un po’ titubante ma accetta, complice anche la curiosità di conoscere questo benedetto Andrea. Lega la Vespa al palo e segue Giorgio in fondo alla strada da lui indicata prima. La cosa che le pare strana è che non c’è nessuno a parte un paio di gatti randagi e tre automobili parcheggiate..dov’è Andrea? Che razza di tipo bizzarro sarà mai? La domanda trova una risposta inquietante quando Giorgio estrae il mazzo di chiavi dell’auto, si avvicina al maggiolino bianco e lo saluta chiamandolo Andrea.
‘scusa, ma è lui Andrea?’ 
‘si, perché?’ risponde lui con il tono della persona stupita di una domanda che ha una risposta ovvia e scontata.
‘ah.’
‘qualcosa non va?’
‘no, nulla…tutto ok.’ È pazzo. Lo sta ripetendo in maniera ossessiva in mente. Uno che chiama una macchina Andrea non può essere normale…come togliersi d’impiccio? ‘Vabbè, mi faccio portare dietro casa e scompaio…si, faccio così’ pensa silenziosamente mentre continua ad osservare la strana coppia..
Giorgio apre lo sportello del passeggero e da galantuomo fa accomodare Manuela nell’abitacolo richiudendo accuratamente la porta, dopodiché apre la porta del guidatore, sale e la richiude; inserisce il frontalino dell’autoradio nella plancia e seleziona il settimo cd del caricatore: Rossini.
‘allora, dove ti porto?’ 
‘vicino la zona dell’ospedale, abito li’.
‘bene! io abito fuori città, ma in quella direzione, sono già di strada..’
Per tutta la durata del breve viaggio Manuela non spiaccica nemmeno una parola mentre Giorgio guida non togliendo mai lo sguardo dalla strada ed andando con estrema prudenza. Dopo aver aperto bocca solo per dare le indicazioni di come arrivare dietro casa sua Manuela lo fa accostare, apre la porta e accenna a scendere.
‘beh, grazie di tutto…ci sentiamo..’
‘lo spero. È stata breve ma mi sono divertito, spero sia stato lo stesso per te.’ Manuela vorrebbe dirgli di si ma le parole gli si bloccano in gola; si limita ad un più diplomatico ‘buonanotte’.
‘buonanotte’. Chiude lo sportello e lo saluta con la mano. Lui parte e scompare nell’oscurita verso la periferia portato da Andrea il maggiolino. Prima di vedere sparire del tutto la silhouette dell’auto nell’oscurità un falso contatto fa mancare per un attimo la luce nel fanale posteriore destro…cosa che da una certa distanza è parso a Manuela come se Andrea le avesse strizzato l’occhio…ma Andrea è un’auto…o no? In presa a questo bizzarro pensiero sale le scale, apre la porta di casa e la richiude dietro di se e tira un lungo sospiro: ‘MA! Sono tornata.’

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