martedì 1 settembre 2020

SONO UNA DONNA, NON SONO UNA SANTA

Sono una donna, non sono una santa, canta una radio in lontananza. Non sono manco una salsiccia di Bra, ma mi ci sento, con tutti ‘sti cavi appiccicati dappertutto. Non mi sentivo così insalamata dall’ultima volta che ho messo le calze a rete. Ci va matto, Luca, per le calze a rete.

'Tutto a posto?'

'Sì, certo.'

'Serve un altro cuscino? Alzo il riscaldamento?'

'No, grazie, va bene così.'

Mi sorride, professionale e premuroso. Fossette, sorriso Mentadent, sta benissimo in verde menta, gli perdono persino gli zoccoli bianchi. Non può avere più di trent’anni. Mica male, il dottorino. Mi portasse nel bosco di sera potrei anche farci un pensierino...

'Allora la lascio sola, signora. Per qualsiasi cosa sono qui. Lei cerchi solo di rilassarsi.'

...ma sono impegnata e col cazzo, che siamo nel bosco di sera. Siamo, anzi, ormai sono, ché Mister Mentadent si è defilato, in uno stanzone tutto bianco, sdraiata in un letto enorme, ma deliziosamente ospedaliero. Niente camicia di forza, ho il mio pigiama preferito: nonostante il bianco e gli elettrodi la facciano da padroni non mi hanno internata in manicomio.

CENTRO DI CURA DEL SONNO PER L’ETA’ ADULTA, dice la targa all’ingresso. Suona come un posto dove ti curano qualsiasi cosa facendoti dormire, un sogno, la chemio e gli antibiotici soppiantati dalle ronfe, e invece no, qui ti curano per farti dormire.

Prima di curarti devono studiarti, però. Ti insalsicciano di sonde, ti intabarrano di lenzuola che sanno di disinfettante, accendono una telecamera e un monitor e ti dicono di rilassarti, facile, no? Di dormire come dormiresti a casa tua. Ovvero male, perché che diavolo ci saresti finita a fare, sennò, in questo bozzolo bizzarro?

Non lo so, come dormo. So molto bene come mi addormento, di botto, e come mi sveglio, perennemente stanca, piena di lividi, con due occhiaie così. Ho escluso tutto il resto a suon di specialisti: anemie, sangue troppo fluido, buffe sindromi con nomi esotici, dermatiti, intolleranze alimentari. Sono stufa di sembrare la Magnani senza saper recitare, visto che non so neanche usare un copriocchiaie in modo decente, quindi eccomi qui a contare le pecore. Speriamo che questa sia la volta buona. Rilassati, dai retta al dottore.

Occhi chiusi, respira, tieni il ritmo col bip bip del monitor, non pensare al tuo vicino di camera, Gesù, quanto russa, sparategli, non pensare per niente. La multa di ieri l’hai pagata. Le mutande le hai messe nuove. 

Domani non lavori, hai preso ferie. Le piante le hai annaffiate prima di uscire, Luca se ne dimentica sempre. A proposito di maschi, ammazza se era carino, il signor Mentadent. Belle mani, pure. Preferisco Luchino, per carità, ma guardare non è peccato. Hai risposto al WhatsApp di buonanotte della mamma. Devi oliare la catena della bici, quando torni...

OH, BASTA. PIANTALA.
Dormi, dai.

Dai che arriva, eccola, la saracinesca che si abbassa, non pensare, continua a non pensare, lasciati andare, entra nel nero.

Sogna. Sogna di volare. 

Una piscina. Un elicottero che entra in un palazzo. 

Un panino. Unto. Caldo. Morbido.

Delle mani addosso. Cristo, vergognati, un sogno bagnato proprio stanotte, fai schifo, anzi no, fa schifo il tuo inconscio, stai sognando. Allungare una mano in un sogno e toccare un culo, anzi, un ottimo culo, non è una colpa. Non è Luca, è diverso, OK, ma stai dormendo, chettefrega? Il culo, le spalle, la schiena, il resto. Mordo, come un vampiro. Come mordere un panino. Corde. Capelli. Tirano. Fa male, ma mi piace. Mi piace un sacco. Bello, madonna, bellissimo. Che bestia, che sei. Che schifo, che fai. Tanto te ne dimenticherai in tre, due, uno…

Non te li ricordi mai, i sogni. Manco riesci ad annotarli, rimane solo qualche flash vago, come un culo nel letto.

BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP

Ma sarebbe bello, ricordarli.

BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP

Bellissimo.

BIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIIP

E invece no, tabula rasa, o quasi. Bentornata, cara.

Di solito ci pensa il cane con il suo alito aroma bidone dell’umido, a resuscitarmi, preferisce me a Luca, ma a questo giro ci hanno pensato una sirena similsovietica e un’infermiera che a fiatella è messa peggio del nostro botolo coi denti marci.

Aiuto. Pure peggio del solito, ‘sto risveglio.

'Ben svegliata, signora. Si alzi pure, di là ci sono i suoi vestiti.'

'E un caffè, spero.'

Mi guarda storta, e vagamente divertita. La troia. Sarai bella tu, alle sette di mattina.

'Mi dispiace, ma non serviamo caffè ai pazienti. Per chi ha disturbi del sonno è un veleno, sa? Abbiamo raccolto abbastanza dati per aiutarla, tenga, qui c’è la registrazione della sua nottata.'

Mi porge perentoria una chiavetta USB, bianca pure quella.

'Imperdibile, 8 ore di bolla al naso.'

'Non si preoccupi, il video è solo in duplice copia. Una è sua, una resta allo specialista che è vincolato dal segreto professionale.'

'Guardi, potreste anche proiettarlo in Piazza Duomo, per quel che mi riguarda. Il mio fidanzato dice che russo fortissimo, è vero?'

Arrossisce, abbozza, finisce di staccarmi di dosso tutte le sonde, mi dice dove devo andare per avere una straccio di diagnosi. Non da Mentadent, da un altro. Avrà finito il turno, del resto. Mi sciacquo la faccia, passo dal pigiama ai miei vestiti ed esco a fatica. Hanno trovato il problema, fantastico, chissà che faccio.

Russi come un tapiro, mi dice sempre Luca mentre mi porta il caffè, anzi, il veleno. L’infermiera è una stronza, ma non scherza nemmeno lui: mi chiavasse, invece di fare il simpatico. Gli devo parlare, se ha un'altra lo ammazzo e qua sento una gran puzza di merda. Premuroso, affettuoso, colazioni a letto, regali, rose, OK, tutto molto bello, ma quant’è che non scopiamo?

Manco me lo ricordo. Sarà lo stress.

A proposito, se anche a questo giro i dottori si ciucciano 100 e passa euro per dirmi che è solo lo stress giuro che mi faccio scoppiare come un kamikaze. Lividi di 10 cm di diametro senza nessuna spiegazione? Va bene la storia del logorio della vita moderna, ma mi pare un po’ troppo. Come le risatine delle infermiere al mio passaggio. Gesù, mica siamo allo Zelig, va bene che mi sono dimenticata la patta dei jeans slacciata, però...

Aspetto sfatta che si apra la porta del professor Tarigli, il mio salvatore e nume tutelare, da quel che ho capito. Leggo le ultime notizie sul cellulare mentre dall’interno sento rumore di cazziatone. Un cazziatone lungo, che mette a tacere le risatine delle infermiere e mi fa venire ancora più voglia di un espresso aggressivo e di un cornetto dolce. Chi lo riceve non si difende. Sarà un paziente indisciplinato, forse. Ha chiesto un caffè pure lui? Mi sento come Fantozzi alla Clinica delle Magnolie finché la porta non si apre e non ne esce, a sorpresa, Mentadent.

'Non si faccia vedere mai più.'

Ahio.

Cerco di incrociare il suo sguardo, ma sta letteralmente correndo via, paonazzo di vergogna come uno scolaretto. Faccio giusto in tempo a intravedere un morso sul collo: hai capito, il signorino? Beccato ad amoreggiare con un’infermiera, sicuro come l’oro.

'Si sieda, signora.'

Anche Tarigli è rosso in faccia. Capisco il perché appena preme play e lo schermo del suo computer mi mostra la mia registrazione, di esclusivo possesso mio e suo. Per fortuna, penso.

'No, non è lo stress.'

Sono io, il problema. Pare sia genetico: ne soffre l’1% della popolazione, è più diffuso di quanto non sembri, di solito colpisce gli uomini, ma sa, la parità dei sessi, signora, siamo sempre più pari in tutto, ahr ahr ahr!
Il professore professoreggia prono sulla sua scrivania e continua con la sua spiegazione, compìto, bene attento a non guardarmi in faccia, ma avevo intuito in due minuti di filmato il motivo della stanchezza ingiustificabile, dei lividi e delle risatine delle infermiere.

Rispondo a monosillabi mentre penso al da farsi appena arrivata a casa e scappo dalla clinica come una ladra con un’impegnativa per un dormiben da denuncia che fa sgranare gli occhi alla farmacista sessantenne della comunale all'angolo.

Patologia: sexsomnia.

Luca non mi scopa mai perché me lo scopo io mentre dormo. Per ore, presumibilmente tutte le notti, senza ricordarmelo. A giudicare dalla mia performance con Mentadent, con tanto di morso sul collo à la Dracula, mentre mi dò da fare sembro perfettamente sveglia, solo molto, molto, molto più zozza di quanto non possa immaginare. Ecco perché non mi ha mai detto niente, come mai mi copre di fiori: ha un'altra, è vero, a pensar male si ha sempre ragione, il punto è che qui l'altra donna sono io.

Fortunello, penso per una frazione di secondo, ma il ricordo di quello che ho visto sullo schermo del PC di Tarigli mi fa sentire una fedifraga. Una fedifraga matta come un cavallo, per giunta. Cazzo.

No, lei non è pazza, questa non è una devianza, signora, è una parasonnia, non è colpa sua, non si preoccupi, è un problema organico, non psichiatrico, passerà tutto con la terapia farmacologica, vedrà, ha detto il professore.

Ma ora come glielo spiego, a Luca, che alle 4:45 di stanotte, mentre il dottor Mentadent mi riappiccicava al petto una sonda, l’ho avvinghiato come un giaguaro davanti a una telecamera accesa senza neanche rendermene conto? Che gli dico? Tesoro, non sono corna, è una parasonnia, non è colpa mia?

Accanto alla farmacia c’è un negozio di calze. In vetrina hanno quelle a rete, nere, le sue preferite in assoluto, pure in offerta.

Tarigli è tenuto alla riservatezza dal segreto professionale e le copie della registrazione sono solo due. Mentre chiamo Luca schiaccio col tacco la chiavetta USB bianca, decisa, cattiva come stanotte con quel povero dottorino.

'Com’è andata, amore?'

'Mi hanno detto che è lo stress.'

'ANCORA? Seria? Ma cosa ca-'

'Ti richiamo tra poco, OK? Ho un attimo da fare.'

Riattacco di scatto, vado verso il Calzedonia, sta aprendo, giusto in tempo: un segno del destino. Facciamo che il dormiben per un po' non lo comincio.

Non è colpa mia.

Sono una sonnambula, non sono una santa.

Racconto di Santanico Pandemonium

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