venerdì 15 gennaio 2021

IL PIACERE DEL VIAGGIO

Gli occhi pesti dal sonno e lo sguardo fisso avanti a se che guarda il panorama che scorre veloce ma non vede nulla, la testa appoggiata al finestrino del treno e un mezzo riflesso della sua faccia che lo distrae dal nulla che scorre fuori. Si è appena svegliato, ha un velo di mal di testa e non sa né quanto ha dormito né quanto manca all’arrivo; si guarda un attimo in giro e la carrozza è mezza vuota, d’altronde non è molta la gente che parte così presto per andare in un posto di mare d’inverno, in una giornata feriale oltretutto. Ha una mezza voglia di attaccare bottone con la vecchia davanti a lui che lo squadra male tenendosi la borsa in grembo ma alla fine desiste, capisce che non è cosa.
Malgrado la stanchezza e la scomodità viaggiare in treno gli è sempre piaciuto: c’è l’emozione del raggiungere la meta, l’osservare le persone anche senza parlarci, il ‘vivere’ il viaggio. La macchina, a meno che non ci sia una buona compagnia, rende tutto più isolato e asettico, senza contare il problema del dove ficcarla appena arrivi.
Sbadiglia, chiude e riapre gli occhi, si lascia cullare dal dondolio cercando di concentrarsi su qualche sporadica siepe fuori dal finestrino anche se il panorama è uniforme in maniera desolante: solo prati intervallati da filari di alberi e ogni tanto qualche cascinale lontano. Dopo ancora un tempo indefinito dove inizia a montargli l’ansia il treno giunge all’ennesima fermata, che stavolta è la sua. Come esce dalla stazione inizia a guardarsi in giro: è sempre lo stesso posto, ma negli anni è cambiato sensibilmente. Qualche palazzo nuovo, alcuni che ricordava ora sono messi peggio e degradati, negozi nuovi, altri storici sono rimasti e nuovi negozietti; anche in una cittadina così piccola è arrivata una buona percentuale di etnie diverse che anni prima non c’erano. Continuando a camminare dalla stazione al centro storico si lascia incantare dai cambiamenti delle strade che conosceva e dalle persone che affollano la strada. Fa due calcoli mentali e si rende conto che sono passati quasi vent’anni da che era in quelle strade l’ultima volta. Si avvicina a una vetrina e cerca di guardarsi nel riflesso: vestito trasandato ma pulito, qualche capello in meno e qualche chilo in più, la barba incolta. Vorrebbe vedere il riflesso di com’era vent’anni prima ma deve sforzarsi a ricordare, e la cosa per quanto piacevole gli risulta faticosa perché gli mancano dei particolari e dolorosa perché alcuni ricordi che riaffiorano di quel posto lo sono effettivamente.
Ha fame, prende il telefono e guarda l’ora e si rende conto che l’ora di pranzo è passata da un pezzo. Cerca di fare mente locale e si ricorda che non molto lontano da lì c’era una paninoteca abbastanza rancida che vendeva dei panini crastissimi ma abbondanti e molto buoni. E, oltretutto, la birra costava poco. Cerca di ricordarsi dove fosse e, non senza fatica, arriva nel vicolo dove stava il posto. Stava, appunto, perché oggi davanti a sé c’è un temporary shop di articoli per la casa. Un po’ spaesato per l’ennesimo cambiamento e la conseguente perdita di sicurezza inizia a girovagare per qualche via che gli pare di ricordare fino a che non imbecca un kebabbaro abbastanza grande da avere almeno tre tavoli di cui uno dove possa sedersi a ordinare qualcosa.
A metà del suo pasto viene rapito da qualcosa fuori dalla vetrina. Dapprima non ci fa caso, poi fissa il punto che attira al sua attenzione: una donna che passeggia spingendo una carrozzina sotto il colonnato al di là della strada. Ogni tanto si ferma, guarda qualche vetrina, indica e parla con il bambino e prosegue.
Si ferma proprio di fronte la vetrina del kebabbaro per prendere dalla borsa un biberon e darlo al bambino. La osserva meglio: ha il capello castano corto, un bel sovrappeso ‘da mamma’, il viso sciupato e un vestito lungo con delle ballerine in tinta. Lui mette in bocca la fetta di pizza che aveva in mano e non riesce a fare a meno di sorridere, pensando che il tempo passa per tutti e, a volte, in maniera inclemente per alcuni.
Già, perché davanti a se ha la sua ex, quella storica, quella con cui è finita e non finita per anni e che gli ha lasciato un sacco di sé, di ma, di se fosse. Quelle storie classiche che danno sempre adito al pensiero eravamo perfetti, ma purtroppo c’è stata la sfortuna. La donna, nel frattempo, è sparita. Lui finisce la pizza e si rende conto che la sua ex, su cui aveva tanto fantasticato, alla fine è cambiata e si è degradata esattamente come la città in cui vive.
Si arrabbia con se stesso per aver perso tempo anni anche solo a occupare la mente con l’aver pensato a diverse opzioni, poi decide, un volta uscito, di passare nella zona dove lei viveva. Per ricordare, non per altro. Solo per vedere come si è evoluta la zona che conosceva così bene. No, a chi vuole raccontarla? Vuole vedere se riesce a rivederla, esaminarla meglio e magari se ha il coraggio di parlarle.
Si incammina e dopo essersi perso in un reticolo di vicoli e viette più o meno malandate arriva in una piazza pedonale dove c’era casa di lei. Si avvicina, guarda il citofono e vede che il cognome è ancora lì sul citofono, nello stesso punto e scritto con gli stessi caratteri. Sorride e si gira per andare via quando se la vede arrivare di fronte con la testa piegata sulla spalla a tenere il cellulare mentre parla e spinge la carrozzina. In men che non si dica mette via il telefono, si ferma davanti al portone e apre.
‘Le spiacerebbe tenermi aperto?’
Lui non risponde, esegue meccanicamente.
‘Grazie, grazie mille.' Poi lo guarda meglio in faccia con sguardo indagatore
‘Posso fare qualcosa per lei? Cerca qualcuno?’
Non essere riconosciuto e sentire quella domanda per lui è una liberazione come non avrebbe mai pensato.
‘Mi ero sbagliato. Sa, i citofoni sono tutti uguali.'
Non aspetta la risposta, si gira, si dirige verso la stazione e prende dalla tasca un biglietto con sopra scritto il nome Laura e un numero di telefono.
‘Ah, sì ciao, sono Marco, quello del treno. Dove hai detto che abiti? Hai tempo per un aperitivo?’

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