venerdì 20 agosto 2021

LA CENA DEGLI ALFIO

Ciao! Con alcuni Alfio della provincia di Trento abbiamo organizzato una cena per tutti quelli che portano il nostro bel nome.
Ci farebbe piacere anche la tua presenza!
Conferma la tua partecipazione nella pagina ‘La cena degli Alfio!’


Nemmeno io so perché ho deciso di partecipare.
Noia? Ispirazione per qualcosa di nuovo? Curiosità?
Non ne ho la minima idea, sta di fatto che sto per arrivare in ‘sto benedetto posto a tre ore di auto da casa dove sarò a cena con non so quanti omonimi.
Ovviamente chi ha organizzato questa rimpatriata, che rimpatriata non è perché si tratta di una cena di perfetti sconosciuti, ha ben pensato di invitare tutti al ristorante “Da Alfio”.
Prevedibile e paradossale, visto che saremo una ventina di Alfio al ristorante “Da Alfio”.
Non era meglio stare a casa con Sara, andare a cena da sua sorella… no, ormai sono qui, fermo al parcheggio del ristorante che porta il mio stesso nome a pensare al da farsi.
Mi guardo un attimo nel retrovisore, penso che vabbè, ceno e alla fine scappo, stanotte tardi sono a casa e male che vada domani è sabato e mi chiudo in casa con donna e cane. O meglio, la porto fuori a cena, che ho voglia di normalità dopo una pandemia mondiale e una cena di Alfio.

‘Alfio!’
Non ho ancora chiuso l’auto che una voce mi chiama. Mi giro e mi ritrovo davanti uno spilungone biondo coi capelli a spazzola che mi saluta sbracciandosi sorridente.
Non posso manco dire chi cazzo sei, la risposta la immagino già, infatti abbozzo:
‘Alfio?’
‘Eh, già! Che bello essere tra di noi!’
Lo guardo con una faccia un po’ tra il vaffanculo e l’attonito.
‘Capisco, è la prima volta, vero? Succede sempre, ma non preoccuparti, Alfio, vedrai che in meno di mezz’ora ti sentirai a tuo agio!’
Partiamo male.
Non so perché, ma questo idiota mi prende sottobraccio e mi accompagna illustrandomi il posto verso l’ingresso della trattoria.
Passeggiamo lentamente, come una coppia omosessuale d’antan, e arriviamo davanti all’ingresso; ci sono altre quattro persone, presumo quattro Alfio, che stanno parlando.
Come ci uniamo al capannello, diventa tutto surreale.
‘Alfio!’
‘Ciao Alfio!’
‘Piacere, Alfio.’
‘Alfio carissimo!’
È tutto assurdo. Mi ricorda un vecchio sketch di Paolo Rossi, ma qui non mi viene da ridere, perché non è uno sketch, è tutto vero. Inizio a dividermi tra il voler urlare e il volerli tutti morti. Prego non so quale dio che faccia venire un ictus a tutta questa gente e intanto mi maledico per non essere rimasto a casa a vedere Sara imbestialirsi davanti alla partita del Milan. Faccio un fioretto mentale sfoggiando la mia poker face in modo da non sembrare maleducato e fingere di ascoltare questi omonimi che blaterano cazzate.
Nel frattempo ci spingiamo all’interno del locale, una trattoria tutto sommato rustica e accogliente, e ci mettiamo al bancone.
Il barista, che scopro dalla targhetta appiccicata storta sul gilet chiamarsi, guarda caso, Alfio, chiede cosa vogliamo; chi uno spritz, chi Long island, chi un analcolico, io propendo per una birretta.
Non mi sono mai piaciute le cose complicate.
Alfio il cameriere, tranquillo e compassato, mano a mano evade le comande, ma quando tocca alla mia non riesco a non trattenere l’ilarità: mi porge il bicchiere da pinta con sopra scritto ‘Birrificio Alfio’.
Rido attirando la simpatia dei miei omonimi che finalmente mi vedono interagire. Ovviamente qualcuno di loro inizia a parlarmi e a farmi una sorta di terzo grado, c’è la curiosità di sapere chi sono, che faccio, da dove vengo, ma cerco di rimanere parco di informazioni perché non vorrei trovare qualche nerd esaltato che passerebbe la serata a rompere i coglioni.
Mi immagino già le domande: ‘ah, ma disegni fumetti! allora mi fai uno schizzo?’. La mia risposta dovrebbe essere il coltello nella loro carotide e un successivo schizzo sì, ma di sangue. È la stessa solfa di quando al pub senti ‘Ah ma sei medico? Beh, senti, io ho questo problemino…’ e speri solo che il medico lo tranci con una rosa di pallettoni e registri la sua vendetta come morte accidentale.
Mentre la gente parla, socializza, chiacchiera, io mi gusto tranquillo la mia birra (complimenti, Alfio, veramente buona. Se sapessi come fare la birra la farei proprio così!) pensando che la sorella di Sara non dovrà mai sapere che esiste il birrificio Alfio, altrimenti mi ritroverò in regalo una cassa di Birra Alfio per almeno cinque anni a ogni festa comandata.

Riesco a finirla con calma e a sopportare qualche chiacchiera; dopo una decina di minuti il proprietario del posto, un certo Alfio, ci fa cenno di seguirlo nella sala accanto per la cena.
Non male, devo dire: rustico come l’altra sala, un po’ démodé ma accogliente. Qualche strana suppellettile come vecchi palloni e una bottiglieria degna di un noir francese con Alchermes e Pernod che gli dona un tono simpatico. Potrei portarci Sara. Sotto falso nome, questo è sicuro, ma se ricapito qui magari ce la porto.
La tavolata non è male, prendo un posto non centrale ma nemmeno troppo isolato che mi dia la possibilità di rimanere defilato e magari di andarmene senza dare troppo nell’occhio.
Mi siedo, davanti a me ci sono piatti, bicchieri, posate, LA TARGHETTA COL NOME (lo stesso per tutti, ovviamente) e un menù di carta:

● AntipAlfio
● Fettuccine Alfio
● Tagliata di Asino con Alfio Salad
● Torta Saint Alfiè

Il tutto contornato dalla acqua minerale fonte Sant’Alfio, dall’ottima Birra Alfio, da un refosco non ben identificato delle cantine di Alfio sailcazzo e dall’Amaro dell’Alfiere.
 
La cena scorre tranquilla, gli Alfio che mi contornano sono tranquilli e non fastidiosi, forse forse riesco a tornare a un orario umano, abbracciare Sara e dormire come se questo fosse un sogno bizzarro. A fine cena mi gusto l’amaro dell’Alfiere ed è pure buono, forse forse questa a sua sorella gliela dico, se lo trova me lo tengo volentieri in casa, potrebbe essere una curiosità per gli ospiti o un buon sollievo quando perde la Juventus.
‘...proprio un peccato!’
‘Scusa?’
Perso nei meandri dei miei pensieri non mi ero accorto che l’Alfio alla mia sinistra mi aveva rivolto la parola.
‘No, niente, pare che l’organizzatore, Alfio, abbia avuto un contrattempo, ma sta arrivando.’
‘Ah, bene’ dico mentre spero che non si tiri per le lunghe. Volevo già essere in auto, invece mi ritrovo qui ancora per un po’. Poi abbozzo. ‘Ma tu lo hai mai visto? sai qualcosa?’
‘No, mai visto… so solo che si chiama Alfio!’ mi risponde ridendo.
Touché, dovevo aspettarmela e gliel'ho servita su un vassoio d’argento. Bravo Alfio, niente male.

Nell’attesa propendo, visto che è ancora sul tavolo, per versarmi un altro microdito di amaro. Di sicuro ci sarà ancora un po’ da aspettare, e in fondo non ho esagerato stasera, ho mangiato bene, il giusto, e ho bevuto pochissimo, sono fresco e lucido. A parte che non sono il tipo, ma francamente non ho proprio voglia di abbuffarmi e aspettare, preferisco mettermi subito al volante e tornare a casa tranquillo.
 
Il bello, come al solito, è che appena verso l’amaro arriva la notizia che Alfio sta arrivando. Bene, caro il mio Alfio al quadrato, signore di tutti gli Alfio, vediamo che faccia hai e poi grazie e a mai più rivederci.
La cosa strana è che c’è una gran concitazione in sala, come se stesse arrivando il Papa.
‘Alfio, mi raccomando, zitti! Alfio, spegni le luci, facciamo una sorpresa ad Alfio!’
Rimango attonito, è uno di quei momenti in cui mi pento non aver mai fumato, perché questo sarebbe il momento perfetto per ricominciare.
Mi presto al gioco e sto calmo mentre la mente vaga a casa, a Sara, alle sue piante che non mi fanno vedere la tivù, alla Zoe che sicuramente mi farà le feste, a Chiara con le sue casse di birra a mo’ di panacea e ai miei suoceri che mi riempiranno di cibo, frutta secca E Amaro dell’Alfiere e inizio a sentirmi sollevato finché non piombiamo nel buio assoluto.
Hanno spento le luci. Sento, dalla stanza a fianco, un parlottio tra il Signore degli Alfio e il titolare del ristorante e dei passi che si dirigono verso la sala dove mi trovo incastrato con circa trentacinque omonimi.
Si accendono le luci d’improvviso, mostrando il Signore degli Alfio in tutto il suo splendore. Si alzano tutti e io non vedo un accidente. Mi alzo con calma e vado verso il capannello dove tutti salutano il signore degli Alfio più per curiosità che per riverenza. Mi chiedo che faccia abbia uno che organizza eventi così deliranti.
Mi accorgo che ho una scarpa slacciata, mi abbasso, rifaccio il nodo e mi rialzo, ma tutto cambia: vedo tutti gli Alfio sfocati, come se fossero cangianti, come se non esistessero. Non sto male, la trattoria è ferma, stabile, normale, con le suppellettili, i piatti, le sedie. Solo gli Alfi cambiano, catturando la mia attenzione mentre rimango fermo come un palo della luce.
Sono tutti mischiati, come un mazzo di carte un Alfio diventa un altro Alfio, i tratti somatici si mescolano, si confondono e poi scompaiono per sostituirsi a vari tratti prima indistinti e poi sempre più netti di me stesso.
Mi ritrovo circondato da me in tempi diversi: da ragazzino, quando andavo all’oratorio, nel mio periodo dark/wave, me stesso 15 anni fa, a spasso con la Zoe appena presa, il me di soli due anni fa che riconosco da una maglietta che ho buttato. Sono dappertutto.
Mi sento mancare, mi appoggio a un tavolo e mi accascio col culo per terra.
Respiro a fatica, mi sento il fiato corto, stai a vedere che il dio degli ictus che ho evocato prima ha sbagliato mira.
Sopra di me parlottano.
‘Acqua, acqua per Alfio!’
‘Aria, fate spazio ad Alfio!’
‘Alfio, aiutami a tirare su Alfio!’
Faccio larghi cenni che nel linguaggio di noialtri Alfio significano levatevi dal cazzo e mi alzo con calma, bofonchio qualcosa e esco a prendere una boccata d’aria.
Ne approfitto per chiamare Sara. La videochiamo, no, no, la devo vedere, ho bisogno di vedere lei e la Zoe, facce familiari.
Il telefono squilla.
‘Oiiiii!’
Tipico di Sara. Parla, parlo, ma non sto bene. Tengo corta la chiamata perché voglio scappare, forse mi hanno drogato, perché nel video Sara ha la mia faccia.
No. Razionalizziamo. Mi sono sbagliato, devo aver scambiato le due visuali, riattacco il telefono tranquillizzando Sara che era perplessa dalla mia agitazione. Tiro un bel respiro per calmarmi, e mi sento chiamare.
‘Alfio! dai, la foto rituale, un abbraccio, dai, Alfio!’
 
Il Signore degli Alfio mi sta chiamando, mi giro ed è l’orrore: tutti gli altri sono me, vestiti come me, con la stessa faccia, con gli stessi denti, persino con la stessa macchia di sugo sui pantaloni, come se fossimo tutti cloni. Il Signore e Padrone della serata, che presumo essere quello al centro, si sbraccia facendomi segno di andare da lui, mentre gli altri sorridono con un sorriso che confina con una smorfia da film horror.

Vorrei montare in auto e scappare, ma non riesco. Devo andare da Alfio, loro sono me, e io sono loro.

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