mercoledì 26 gennaio 2022

PIAZZA GAE AULENTI

‘Eh, beh, è proprio una bella mattinata di merda’ si disse mentre usciva dal portone. Alzò il bavero del cappotto blu e si strinse al collo un po’ di più la sciarpa perché, malgrado fosse marzo, brezza, umido e temperatura lo riportarono dritto ai giorni della merla.
In più, come se non bastasse, sapeva che arrivato in ufficio avrebbe avuto una bella rogna anticipata da un sms, bada bene, non un vocale o un whatsapp, ma un vetusto modo di comunicare che gli lasciavano pregustare la giornata aroma bovazza.
Branca aveva ancora l’alito di caffè, di quelle tre tazze di americano che si era ingurgitato tra il letto e il cesso che, non contento, si pescò il portatabacco e si accese la sigaretta metodicamente rollata la sera prima.
‘Chi cazzo me lo ha fatto fare di smettere di fumare, dio solo lo sa. Manco scopare è così bello come la prima boccata della mattina.’ si disse accendendo la paglia con lo zippo e aspirando una bella boccata di tabacco di bassa qualità e benzina.
Fece quei trecento metri che lo separavano dal posteggio dei taxi, o tassì come li chiamava lui, e salì sul primo che gli capitò.
‘Dove la porto?’
‘Commissariato, grazie.’
‘Ha una strada di…’
‘NON ME NE FREGA UN CAZZO. Portamici e basta, il più velocemente possibile, che oggi siamo partiti male.’
Il taxista obbedì silente, gli avrebbe cagato in mano ma non poteva. In tempi di crisi i soldi erano importanti e questo era un bel periodo del cazzo, quindi muto e pedalare. Guidando tranquillo lo portò dove richiesto e non disse nulla.
‘Eccoci, sono…’
‘Lo vedo. toh. tieni il resto, e scusa, oggi è una giornata iniziata storta.’
Il tassista si trovò in mano il doppio della corsa e non fece domande. Non accennò nemmeno un sorriso, lo vide entrare in commissariato e scomparire dentro un corridoio, poi ripartì.


Al secondo piano, interno 13, c’era il suo ufficio. Arrivò e si mise seduto, nemmeno il tempo di prendere un fascicolo in mano o aprire il pc che subito arrivò un sottoposto con giornale, tazza del caffè e l’incartamento che gli era stato anticipato per sms.
‘Commissario, dai rilievi fatti…’
‘Ciccio.’ disse alzando la mano ‘calma un attimo che devo ancora capire come mi chiamo. ma scusa, ma tu un cazzo di vocale o mail non potevi mandarlo? Anche chiamarmi andava bene, erano le dieci.’
‘Dottore, sa…’
‘Sì, sì, i soldi sono pochi e il telefonino è vecchio.’
‘No, è che non sono abituato a tutta ‘sta tennologia.’
‘Vabbè, vai, vai. Il medico legale? L’autopsia?’
‘La fanno stamane, commissario. Il cadavere è già in obitorio, sa, è un ufficio, non potevamo lasciarcelo troppo.’
‘Seh, seh, poi sento io il dottore.’
‘Ha bisogno di altro?’
‘Chi ha fatto il primo sopralluogo?’
‘Interlenghi.’
‘EH? Quel demente lì? Che dio ce la mandi buona.’
Si mise le mani in faccia e fece gesto al sottoposto di andare tranquillo.
Dopo il caffè aprì la finestra, si accese un’altra sigaretta e aprì il fascicolo.
Scorse nome, precedenti, curiosità, ma non c’era nulla.
Tizio Caio, anni tot, nessun precedente, vita noiosamente normale, un impiegato come tanti.
Morto verso le sette di sera davanti al pc della sua azienda.
Motivo: disidratazione estrema.
Arma: non definibile, inesistente, nessun tipo di segno superficiale o di trauma, si rimanda giudizio dopo il referto dell’autopsia.
‘Cominciamo bene…’ si disse.

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