martedì 10 maggio 2022

L'ULTIMA OFFENSIVA

Finalmente al sicuro, finalmente ho chiuso tutte le porte.
Isolato finché vuoi, ma in tempi come questi non ci si può fidare di nessuno: basta vedere cosa sta succedendo al fronte, nei vari comandi, perfino ai generali di stati neutrali.
È una moria totale, si incolpano l’un l’altro dei decessi, nessuno sa chi sia il mandante o la spia, nessuno sa perché ci si ammazza a vicenda tra i militari di alto rango.
Io sono un soldato, non c’è un motivo, ci sono ordini da rispettare, mi viene chiesto di fare saltare qualcosa o prendere un avamposto, lo faccio. Costa delle vite? Non sono vite, sono danni collaterali. Che siano soldati, civili, animali, o altro. Se è una zona di guerra sono affari tuoi se rimani lì. Ormai siamo nel ventunesimo secolo, dove è la guerra lo sanno tutti appena scoppia, inutile nascondersi.
Eppure, sono lì a piangere la nonna di novant’anni che non ha lasciato la casa.
Se dovessi piangere io ogni diciottenne mandato su una mina antiuomo avrei gli occhi perennemente asciutti.
Ma è la guerra, sono battaglie, sono ordini da eseguire.
È l’onore, l’appartenenza al corpo, il prestigio.
Per quello io devo continuare, la mia nazione lo vuole, non posso lasciare il comando e questo mondo.
Io devo stare attento, mi spiace per gli altri.
Il Colonnello Morley, il sergente McAllister, il generale Ludendorff, il sergente maggiore Goscinny.
Tutti morti recentemente, non si sa come, credo suicidio perché, in questa guerra totale, non hanno sopportato la pressione e l’hanno fatta finita.
Inutile girarci intorno, erano deboli, si sono lasciati sopraffare dall’emozione, dal sentimentalismo, ma bisogna essere freddi, in momenti come questi.
È ormai notte, domattina alle cinque spaccate ci sarà la grande offensiva, ci sono molte cose in ballo. Guardo dalla finestra, le sentinelle fanno la guardia. Il palazzo è blindato, le porte sono chiuse, gli allarmi di massima sicurezza attivati.
Chiudo gli scuri di metallo, sono finalmente in pace, isolato nella mia stanza.
Un letto, una scrivania, una piccola agenda.
Mi basta, il resto è in cassaforte nel salone di sotto. Domani lo recupero un’ora prima dell’ordine di attacco.


…ma questo ronzio?
Una specie di sibilo.
Lo sento, sempre più forte.
Strano.


“Generale, povero lei.”
Eh?
“Generale.”
Mi giro.
“Chi sei? Come sei entrato?”
“Soldato semplice McCready, ventinovesima divisione di stanza a Thiepval”
È un’allucinazione.
“Sono stanco, sei un’allucinazione. Non è possibile tutto ciò.”
“Lo ha detto anche McAllister. Generale, mi offre una sigaretta?”
“Sei un’allucinazione.”
“Generale, io sono il frutto di ordini sconsiderati di gente come lei. Mi offre da fumare?”
Impietrito dalla mia allucinazione, porgo un sigaro. L’allucinazione lo accende. Aspira, espira.
“Dio, quanto mi mancava fumare. Vede, Generale, la vita a Thiepval non era troppo facile. Per me è stata anche breve. Sono durato venti giorni, al fronte.”
Thiepval, Thiepval… mi suona… ma certo, la Somme! E in effetti questa allucinazione e vestita come un soldato di fanteria della Prima guerra mondiale.
“Generale, ti mostro una cosa.”
Sono sempre fermo, impietrito. Si avvicina di un passo, mi appoggia le braccia sulle spalle. Sento prima un brivido, poi un dolore immenso al petto, poi vedo: vedo tutto: trincee, morti, feriti, disperazione, orfani mutilati, distruzione, i danni collaterali, ma visti dal punto di vista straziante di ogni vittima.
“Cosa sei.”
“Generale, io per i tuoi antenati non ero nulla se non una lettera per mia madre, una croce in Francia e una medaglia sul tuo petto, e tanti altri come me. Ora invece sono un fantasma che visita chi ci ha mandato a massacrare per la vostra cupidigia. Fa male vedere certe cose, vero?”
Non rispondo, non so cosa dire, sto malissimo, penso che non è vero, non può essere.
“Nessuno ci crede, dopotutto tu, Generale, non ascolteresti mai un fante. Ma tra poco sentirai uno sparo: è il tuo sergente maggiore, colpevole come te di tanto dolore.”
Sento lo sparo. Bussano. Il tenente mi dice che Galloway si è sparato. Insiste a bussare, ma non riesco quasi a parlare.
“Ma, quindi, i generali morti…”
“Generale, prendi la pistola. Dopo non farà più male.”
Estraggo la rivoltella, carico il colpo, guardo quello sguardo glaciale e spento.
“Bravo, Generale. Un colpo solo e avrai la pace.”
Lo guardo, sto per aprire bocca, mi anticipa.
“Sì, avrai quello che meriti.”
Premo il grilletto, sento il colare del sangue sulla guancia, nel mio ultimo attimo di vita colgo l’ultima frase del soldato:
“Finalmente vedrai l’inferno che hai causato a troppi, Generale. Addio.”

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