lunedì 25 aprile 2022

UNA BRUTTA INDIGESTIONE

Questo che leggerete è il finale di tre racconti, ovvero 'all work and no joy makes Alfio a dull boy' e 'la cena degli Alfio'. Buona lettura.


Mi fa male la testa, mi sta proprio scoppiando.
Mi rendo conto di essere in un letto d’ospedale e sono sfinito, completamente senza forze.
‘Come stai?’
Sara.
‘Sfinito. Sono sfinito. Ma dove sono?’
‘A Trento. Ti hanno portato qui d’urgenza, sei svenuto nella piazzola del ristorante. Pensavano fossi ubriaco perché urlavi, invece si sono resi conto dopo che stavi delirando e ti hanno portato qui.’
Mio dio, sono DAVVERO così andato?
‘E il medico che dice?’
‘Che vuoi che dica, ti hanno portato dentro stanotte, stanno facendo tutti gli esami e come sempre devono vedere e non dicono nulla, speriamo non sia nulla di grave e che sia solo un banale esaurimento.’
Già, un banale esaurimento. Non ci avevo mica pensato, fino adesso. Ma potrei avere qualsiasi cosa, un’emorragia, un tumore, chissà che altro. E magari le allucinazioni sono dovute a quello. Non so nemmeno cosa sperare.
‘Ma tu da quanto sei qui?’
‘Dalle sette di stamane, sono partita appena mi hanno chiamato.’
Mi sento una merda, l’ho fatta preoccupare, correre, piangere per cosa? Perché sto andando via di testa. Spero almeno ci sia una causa… non è bello comunque, ma almeno mi sentirei meno in colpa verso Sara. È qui, ancora più tirata, nervosa, con gli occhi pesti. Sorride nervosamente ma lo vedo che è preoccupata, la conosco.
‘Sara, ma come sei organizzata, adesso? Torni a casa, dormi qui?’
‘Intanto parlo con un medico e mi faccio dire, poi vediamo. Che non è che ti si lascia qui dassolo.’
Suono il pulsante dell’infermiera, arriva la moldava di turno, mi chiede che voglio. ‘Parlare col medico’, rispondo, voglio sapere cosa devo aspettarmi da un ospedale di Trento.
Dopo qualche minuto, entra un dottore sulla sessantina, un po’ claudicante, con lo stetoscopio buttato a caso sopra il camice slacciato.
‘Oh, si è svegliato. Buongiorno.’
Cominciamo bene. Perspicace, il dottorino.
‘Senta dottore, forse ha anticipato qualcosa alla mia compagna ma volevo sapere perché sono qui dentro.’
‘Aspetti.’
Sfoglia la cartella, legge, esce, sparisce dieci minuti mentre io divento sempre meno paziente e ricompare.
‘Perdoni, sono appena arrivato e dovevo vedere il quadro clinico e gli ultimi referti. Fortunatamente per lei, Busalla, non c’è nulla di patologico, nessuna emorragia, nessun aneurisma, nessuna lesione…’
‘Scusi, ma allora perché diavolo sono qui dentro?’
Ho la bestemmia sulla punta della lingua e un senso di colpa nei confronti di Sara grosso come un palazzo.
‘Si è beccato un bell’esaurimento. Gli esami del sangue sono sballati e tutto indica una situazione di fortissimo stress.’
‘Quindi posso tornare a casa e riposarmi?’
‘Non proprio. Adesso lei si passa qui altri tre giorni, facciamo ulteriori esami, poi la dimettiamo e vediamo se è il caso di darle una pastiglia per aiutare, almeno temporaneamente, la situazione.’
Già mi sto incazzando, tre giorni qui dentro e Sara chissà dove a dormire. Sto per aprire bocca ma lei mi precede.
‘Beh, se son solo tre giorni si può fare la ringrazio dottor…’
‘Alfieri. Alfio Alfieri. Lo so, suona strano, ma mia mamma ha avuto un gran senso dell’umorismo, diciamo così.’
Non fossi pietrificato dal terrore riderei.


Ho cenato decentemente per essere in ospedale, e mi sto rilassando guardando vaccate in tv. Mi sento meglio, decisamente. Tolto quel senso di colpa verso Sara e come l’ho fatta correre e preoccupare sto bene. Non ho nulla, devo riposarmi: semplice.
Appena torno a casa vado veramente a farmi una vacanza via, mi sento già meglio ma voglio recuperare ancora di più.
Entra il medico di turno, mi ero scordato del giro serale.
Si avvicina in maniera molto pacata, mi guarda in modo quasi paterno. Mi appoggia una mano sulla fronte e mi accarezza.
‘Alfio, Alfio… ma tu pensavi di sfuggire? Ma tu pensi davvero che sia tutto un esaurimento?’
Sono pietrificato, mentre lui continua a parlare: ‘Noi siamo te, e tu noi.’
Mi sorride in modo innaturale mentre la sua faccia cambia, diventando lentamente la mia.

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